dimanche, janvier 09, 2011

Un’idea, separare reddito e lavoro

Il Riformista
Un’idea, separare reddito e lavoro

di Piero Sansonetti   ilriformista.it     20110107

Un nuovo welfare per non lasciarli in mano agli imprenditori e alla destra. Era la vecchia idea di Lyndon Johnson
Il tasso di disoccupazione giovanile è mostruoso. È un record, è il record di questo secolo. E la tendenza è all’aumento. Si arriverà rapidamente al rapporto di uno a tre fra occupati e disoccupati.
A questo dato va aggiunto il tasso di inoccupazione, che è altissimo. Gli inoccupati sono quelli che hanno rinunciato del tutto, per ora, all’idea di poter lavorare. E dopo aver sommato questi dati bisognerebbe andare a vedere quanti dei giovani che riescono a lavorare hanno un contratto a tempo indeterminato e quanti sono precari. È un calcolo quasi inutile: sono praticamente tutti precari.
La drammaticità del futuro dei giovani dovrebbe essere il centro di qualunque ragionamento e di qualunque battaglia politica. E invece non è così. Dei giovani si riesce a parlare solo quando per una mezza giornata mettono a ferro e fuoco qualche centro cittadino, oppure - con una cadenza regolare - quando escono i dati Istat sulla disoccupazione.
A me non risulta che nessuno dei partiti politici italiani e nessun ministro, e nessuno tra i tanti intellettuali che influenzano l’opinione pubblica, abbia mai presentato una proposta ragionevole, immediata o di prospettiva, che serva a fronteggiare l’emergenza giovanile. Berlusconi ha pensato che il problema si potesse affrontare, e magari risolvere, affidando a Giorgia Meloni un ministero nuovo di zecca, “alla Gioventù”. Gesto apprezzabile. E sicuramente Giorgia Meloni è degna di stima, è una persona seria e che, sebbene giovanissima, ha una storia politica rispettabilissima alle spalle. Ma si può creare un ministero senza avere una idea di come possa funzionare? Cioè, per essere più chiari: che senso ha creare un ministero alla Gioventù se nel programma di governo non c’è un progetto strutturale e di prospettiva, di riforma dell’economia a favore dei giovani?
Qualche giorno fa, sul Corriere della sera, si è proposto di creare un ulteriore ministero: un ministero al Futuro. Così potremmo spendere un po’ di soldi e aumentare un po’ di burocrazia, e avere un ministero che pensa al presente dei giovani e uno che pensa al loro futuro, tutti e due privi di proposte, di risorse e di poteri. Magari si potrebbe anche istituire un ministero al Passato dei giovani, che sarebbe utile, più o meno, quanto gli altri due.
Qual è il problema delle nuove generazioni? Diciamo che i problemi, essenzialmente, sono due. Il primo è lo scarso livello del nostro sistema di istruzione, in particolare delle università. Che certo non è stato migliorato dalla miniriforma Gelmini. Il secondo problema è la grande incertezza su come procurasi un reddito, e quindi l’indipendenza economica, e quindi i margini per la propria “autonomia esistenziale”. Come distribuire sapere e come distribuire ricchezza: sono queste le domande.
Dei problemi, assai complessi, del sapere si è discusso molto nelle settimane scorse, durante la contestazioni alla legge Gelmini. Del problema del reddito non si discute quasi mai. I partiti di sinistra dicono che serve una politica che crei più occasioni di lavoro e che riduca il precariato. I partiti di destra dicono che la condizione per creare nuovo lavoro è favorire le imprese e dunque comprimere i salari e i diritti dei lavoratori. Né gli uni né gli altri hanno neppure la minima intenzione di prendere il toro per le corna. Qual è il toro? È la certezza che lo sviluppo sta portando le società globalizzate verso assetti economici che progressivamente diminuiranno e non aumenteranno le necessità di lavoro. In particolare di lavoro manuale. È un disastro o è una grande occasione? È chiaro che è una occasione. Il fatto che l’umanità sia in grado di produrre una maggior quantità di ricchezza con una minor quantità di lavoro (di fatica) è una buona notizia. Potremo tutti lavorare di meno e guadagnare di più. Tutti? Dipende dai criteri coi quali si distribuirà la ricchezza creta. E questi criteri bisogna decidere chi li stabilisce: la politica o l’impresa? La democrazia o il mercato? La destra dice: l’impresa, il mercato. È normale che dica così. La sinistra invece tace. E questo crea un inaudito squilibrio nello scontro politico-sociale.
Il problema è che la sinistra, a partire dai sindacati, non si vuole convincere che il lavoro non è più il centro di tutto. E che è un suicidio restare nel vecchio schema che “giustizia sociale”, “dignità individuale”, “distribuzione del reddito” sono tutte subordinate del “lavoro”. Semplici subordinate. Cioè che solo il lavoro e la distribuzione del lavoro sono la fonte dell’uguaglianza e della libertà. Non è più così. O si ha la capacità di distinguere tra lavoro e libertà, lavoro e dignità, lavoro e reddito, o le carte sono tutte in mano agli imprenditori, al mercato e alla destra. Decidono loro, e ai giovani resta solo la possibilità di sottomettersi, di accettare un futuro gramo e di obbedienza.
Come si fa a distinguere tra lavoro e reddito e diritti? È il welfare la soluzione. L’urgenza è quella di disegnare un nuovo welfare. Che in linea di principio, in tempi ragionevoli, garantisca il reddito minimo a tutti. E assuma interamente su di sé la responsabilità della giustizia sociale. Sarà un welfare più costoso? Certo che costerà dei soldi, ma è impossibile pensare a una redistribuzione della ricchezza - che c’è, è tanta, ed è concentrata in poche mani - senza l’intervento dello Stato e lo strumento fiscale. Quello del reddito garantito è un vecchio progetto che iniziò a prendere corpo, in America, nientemeno a opera di Lyndon Johnson nel 1964. Dicono che Johnson non fosse un estremista comunista e che ne abbia dato abbastanza le prove…


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