lundi, août 27, 2012

Sinistra e/a puttane

Sinistra e/a puttane

thefrontpage.it    20120808


Sinistra e/a puttane

“Erano queste giovani [sacerdotesse, ndr] che avevano, anche, il nome di «vergini» (parthénoi ierai), di «pure», di «sante» –qadishtumugigzêrmasîtu; si pensava che incarnassero, in un certo modo, la dea, che fossero le «portatrici» della dea, da cui traevano, nella loro specifica funzione erotica, il nome – ishtaritu. L’atto sessuale assolveva così per un lato la funzione generale propria ai sacrifici evocatori o ravvivatori di presenze divine, dall’altro aveva una funzione strutturalmente identica a quella della partecipazione eucaristica: era lo strumento per la partecipazione dell’uomo al sacrum, in questo caso portato e amministrato dalla donna.”
C’è bisogno della Metafisica del Sesso di Julius Evola per mettere un po’ di ordine intorno a quello che, un po’ sbrigativamente ma non senza una ragione profonda, è conosciuto come il mestiere più antico del mondo. “Puta” è una radice sanscrita presente nei Veda indiani, poi esondata dall’Avesta alle lingue romanze, che allude a qualcosa di puro, santo. La “Grande Prostituta” o “Vergine Santa”, infatti, anticamente era una sacerdotessa che amministrava il culto della dea.
“L’atto sessuale tra un uomo e la sacerdotessa era il mezzo per ricevere la gnosi, per fare esperienza del divino [...]. Il corpo della sacerdotessa diventava, in modo impensabile per il mondo occidentale contemporaneo, letteralmente e metaforicamente una via per entrare in rapporto con gli dei [...]. Per i pagani, infatti, le donne erano naturalmente in contatto con il divino, mentre l’uomo, da solo, non poteva raggiungere questo obiettivo.”
Sino ai tempi dei romani il termine “vergine” significava “nubile”, tant’è che in latino a “virgo” si affiancava l’allocuzione “virgo intacta” per identificare la ragazza non sposata e priva di esperienza sessuale. Non stupisce, dunque, la trasfigurazione etimologica – e culturale – operata dalla gestione patriarcale del messaggio di Cristo. In più i cristiani, junior del Vecchio Testamento, erano avvantaggiati: gli avi ebrei erano stati i primi a liberarsi del culto della dea e a sostituirla con il (presunto) unico dio maschio.
Proprio una Vergine sarà la madre del Salvatore e il suo carisma si diffonderà con trasversale rapidità. Le madonne nere di Francia, il culto di Iside, le eredità etrusche, cretesi e druidiche, insieme al Natale e alle altre feste copiaincollate su quelle pagane e celtiche, si fondono nel Cristianesimo che porta a compimento il rovesciamento dei poli, iniziato dagli ebrei e dalle invasioni di elleni, dori e achei nella Grecia pre-socratica e matriarcale: gli uomini amministrano il culto, le donne sono sante o puttane.
Le antiche sacerdotesse della luna vengono sfrattate dagli altari e sbattute in strada, proprietarie solo di quel corpo che un tempo fu il tempio e ora diventa l’icona del peccato. Maddalena non per caso assurgerà a simbolo di resistenze carbonare, oltre che a croce e delizia della sbandierata tolleranza della religione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (tutti con la “o”). Così come i padroni maschi del pantheon greco si erano dovuti inventare il parto cerebrale di Era da parte di Zeus, per giustificare la patrilinearità celeste su cui poggiava il loro potere ai piedi dell’Olimpo.
La sessuofobia contemporanea, quindi, non è che un retaggio antropologico antico, un riflesso condizionato di quel naturale timore reverenziale che ogni maschio di potere prova nei confronti di una donna libera e del suo corpo. Tutto quello che ne discende, in termini di tic e paranoie culturali sull’educazione, la cultura, il buon gusto e persino la politica, è solo un pallido rimbalzo di una partita antica come il sole e la luna. Il beghinaggio moralista su videogiochi, pornografia, preservativi e tutto il resto è tutto qui.
Ma c’è anche la tolleranza. Questa dev’essere una delle ragioni per cui il motto – il mestiere più antico del mondo – è ancora valido. Le prostitute sono sempre state tollerate, spesso utilizzate per le “necessità corporali” di papi, confratelli e prelati, come monito del peccato ma anche della possibile redenzione, incarnata dalla sempiterna Maddalena. Tolleranza non vuol dire uguaglianza, però. Anzi. La condizione di minorità, di clandestinità professionale, di oscurità sociale è essenziale, per il monito.
Niente di male, intendiamoci: la Chiesa fa la sua partita. Quello che disarma, come al solito, è la nullità culturale e la sudditanza politica espressa dai sinistri moralizzatori che si ergono a paladini dei diritti della donna, con la “d” maiuscola. E non spostano un fico secco circa le condizioni materiali delle donne in carne ed ossa che, per scelta, costrizione o (estremo peggio) schiavitù, si prostituiscono per strada.
L’ultima della lista è la neo-portavoce del governo Hollande, Najat Vallaud-Belkacem, che ha dichiarato: “Non si tratta di sapere se vogliamo abolire la prostituzione, ma di trovare gli strumenti per farlo”. Le “sex workers” di Francia (lì le case chiuse sono state abolite nel 1946), circa ventimila di cui ottomila solo a Parigi, sono scese in piazza per protestare, volto coperto da maschere di plastica e lavagnetta al collo con su scritto: “Non siete voi a riempirmi il frigo, a pagarmi le bollette, perciò non potete parlare”.
In Italia la senatrice radicale Poretti, che ha proposto un disegno di legge per la legalizzazione della prostituzione, ha fatto i conti: “settantamila prostitute presenti nel nostro Paese per nove milioni di clienti e un costo medio per prestazione di trenta euro fa un giro d’affari, sicuramente per difetto, di novanta milioni al mese, oltre un miliardo l’anno”. In tempi di crisi nera forse è meglio tassare l’ipocrisia di Stato, visto che la prostituzione in sé non è reato, piuttosto che strangolare imprese e pensionati.
Un barlume di lucidità giunge dalla Romagna. A Ravenna il sindaco Matteucci ha annunciatorecentemente il progetto per la “zonizzazione” della città, prevedendo alcune zone illuminate e sicure per farle lavorare in santa pace. Si è anche lanciato in un’apologia liberalizzatrice commovente sulla necessità di una legge che regolamenti il mestiere più antico del mondo con laica serietà. In tempi normali sarebbe una battaglia persa in partenza, chissà se la fame si dimostra catartica.

La verginità perduta di fraulein Buba

La verginità perduta di fraulein Buba

 

di CARLO CLERICETTI   repubblica.it     20120827

 

Eh, sì. Anche lei. Anche la Bundesbank, che oggi impartisce all'Europa e alla stessa

Bce lezioni di teutonica coerenza, anche lei ha peccato, ha infranto il suo sacro statuto

e ha finanziato creando moneta il deficit pubblico tedesco. Lo ha fatto soltanto una volta,

ma una volta è quella che basta a perdere la verginità per sempre. E lo ha fatto

in una situazione che  -  scontate le debite differenze  -  somiglia moltissimo alla situazione

dell'Europa di oggi.

A ricordarselo è stato un economista tedesco, Peter Bofinger, a cui ha fatto seguito

 una nota di Evelyn Herrmann 1 di Bnp Paribas. Joseph Cotterill 2 ne ha scritto

sul Financial Times e l'economista della Sapienza Mario Nuti 3 ne ha parlato in un suo intervento.

Insomma, la storia si sta diffondendo e di certo il super-falco Jens Weidmann dovrà tenerne conto

prima di sparare la sua prossima bordata contro qualsiasi ipotesi di intervento della Bce

sul problema degli spread e dei debiti sovrani.

Il fatto è avvenuto nel 1975. La Germania era in una pessima situazione congiunturale,

quella che si definisce "stagflazione", ossia stagnazione della crescita (il Pil in quell'anno

arretrò dello 0,9%) e inflazione (i tassi a lungo termine sul debito erano arrivati al 10,74%

nella media dell'anno precedente e tendevano a salire ancora). Nell'estate del '75

la domanda di titoli a lungo termine cadde, perché gli investitori temevano che l'inflazione futura

sarebbe stata superiore ai rendimenti. E allora la Bundesbank, scrive Herrmann, "acquistò titoli,

per un importo pari a circa l'1% del Pil, con maturity 6 anni e oltre" (bisogna considerare

che la maturity è minore rispetto alla scadenza nominale dei titoli). La Herrmann sottolinea che

così facendo la Bundesbank contravvenne al suo statuto, che le vieta la

"monetizzazione del debito", che è ciò che avviene se la Banca centrale compra titoli

del suo paese. E infatti vi furono reazioni politiche negative.


Ma la Bundesbank giustificò la sua mossa, affidando la difesa al suo capo economista e

membro del board: si trattava di Helmut Schlesinger, che in seguito sarebbe asceso

alla presidenza della Banca.

"Le nostre politiche di mercato aperto  -  affermò Schlesinger  -  non sono dirette a finanziare

il deficit pubblico, ma solo a regolare il mercato monetario". Chiosa la Herrmann: "In altre parole,

la Bundesbank aveva bisogno di acquistare bond allo scopo di mantenere efficiente il canale

di trasmissione della politica monetaria".


Come, come? Ma questa frase ne ricorda un'altra molto più vicina nel tempo, di appena un mese fa:

La soluzione del problema degli spread, e quindi di rendimenti troppo elevati sul debito sovrano

di alcuni paesi dell'Eurozona, "rientra nel mandato della Bce, nella misura in cui il livello di questi

premi di rischio impedisce la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria".

Lo ha detto Mario Draghi, presidente della Bce, nella sua famosa conferenza a Londra del 26 luglio,

la stessa in cui ha affermato che la Bce avrebbe fatto "tutto il necessario" per risolvere

la crisi dell'euro; "e, credetemi, sarà sufficiente".


Stesso problema, dunque: si è creata una situazione che impedisce alla Banca centrale

una corretta trasmissione della politica monetaria. E anche la soluzione appare simile: si tratta

di acquistare titoli di Stato, in una quantità "sufficiente" a risolvere il problema. Un atto, dunque,

che non ha a che fare con la mutualizzazione del debito o con la sua monetizzazione,

come la stessa Bundesbank sostenne allora, ma con il compito primo e principale di qualsiasi

Banca centrale, che è quello di rendere efficiente la sua politica monetaria.


Draghi, dunque, ha inquadrato il problema perfettamente, e Weidmann può dargli torto solo

rinnegando la storia recente della sua stessa Banca centrale. Poi, però, il presidente della Bce

ha preso altre due posizioni che sono politicamente abili, ma deleterie

per la sbandierata indipendenza politica della Bce. La prima: gli interventi avverranno solo

dopo una formale richiesta di aiuto da parte degli Stati interessati, a cui saranno poste delle condizioni.

Ma questa è la procedura stabilita per gli interventi dei Fondi "salva-Stati" (Efsf e, quando ci sarà, Esm).

Che c'entra con quello che la Banca centrale ritiene di dover fare?

E se nessuno chiede aiuto la politica monetaria può continuare ad essere inefficace?

Il fatto è che quella era la linea indicata dalla Cancelliera Merkel.

Della quale si è detto che è poi intervenuta ad appoggiare Draghi:

ci sarebbe mancato altro, visto che era stato Draghi ad accettare la sua linea!

La seconda posizione è quella che riguarda l'accesso del Fondo salva-Stati

ai finanziamenti della Bce.

Quasi tutti i commentatori affermano che, per renderlo possibile, va concessa al Fondo

la licenza bancaria e Draghi aggiunge che senza di essa  -  che è competenza dei governi concedere 

-  la Bce non può finanziarlo, richiamandosi a un parere legale espresso sulla base

dell'articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea del 2009.

Ebbene, questo non è vero: come sottolinea Mario Nuti, il primo comma di quell'articolo

sembrerebbe in effetti escludere organismi di quel tipo, ma il secondo comma recita: "Il paragrafo 1

può non essere applicato alle istituzioni di credito pubbliche che, nel contesto dell'offerta di riserve

da parte della Banca centrale, potranno avere lo stesso trattamento degli istituti di credito privati".

La Bce dunque avrebbe tutto il potere, a norma di Trattato, per decidere in materia. Se non lo fa

è perché aspetta che sul problema gli Stati si mettano d'accordo, cosa che finora non è avvenuta

essenzialmente per l'opposizione tedesca.

Una seconda, pesante concessione al "primato della politica".

D'altronde, se Draghi siede su quella poltrona non è solo per le sue universalmente riconosciute

capacità tecniche.

Sarà forse il più autorevole tecnico oggi in circolazione nel mondo, ma questo non sarebbe

bastato senza il consenso politico di chi conta di più in Europa, ossia dei tedeschi.

E il realismo insegna che è abbastanza inutile aver ragione, se poi non si riesce a farla valere.


Certo, può arrivare un momento in cui si deve scegliere tra il fare qualcosa che appare

ormai indispensabile e il mantenere una copertura politica a costo di rischiare il disastro.

Speriamo che, quando arriverà quel momento, Draghi scelga bene.

 

Quelle bufale del pentito gustose solo per i giudici

Quelle bufale del pentito

gustose solo per i giudici

Il tribunale del Riesame smonta pezzo per pezzo il teorema

d'accusa che in luglio ha portato in cella il re delle mozzarelle.

"E' lui la vittima dei clan".

 

Di  Stefano Zurlo -   Lun, 27/08/2012 - 07:14                 ilgiornale.it

 

Non era vero. Il re della mozzarella Giuseppe Mandara non era in affari

 con i clan della camorra. Altro che favoreggiamento. Altro che disponibilità.

Altro che capitali da riciclare. Tutto falso. Tutto costruito su presupposti  

inesistenti. Tutto capovolto, in un mondo alla rovescia. Si resta senza parole

nel leggere pagine con cui il tribunale del Riesame di Napoli fa letteralmente

 a pezzi l'ordinanza con cui il gip a luglio aveva spedito in carcere Mandara

 e dato uno schiaffone a una delle eccellenze del made in Italy. La manette

 a Mandara e il commissariamento dello stabilimento di Mondragone avevano

 fatto il giro del mondo e ora sarà difficile ricostruire l'immagine, compromessa,

di un prodotto che tutti ci invidiano. Fra l'altro nel groviglio di accuse assemblate

 dalla Procura distrettuale antimafia di Napoli era finito davvero di tutto: persino

 il presunto cinismo di Mandara che decideva di lasciare in commercio una partita

di formaggi contenente un pezzo di ceramica pericolosissimo per la salute;

e addirittura l'utilizzo di latte di qualità inferiore, vaccino, truffando così

 il consumatore.

 Il Riesame non affronta direttamente questi episodi ma lo studio attento

 delle intercettazioni - incredibilmente Mandara e il suo staff sono stati

 ascoltati per anni e anni - fa scricchiolare anche la lettura devastante

arrivata sui giornali.

Il collegio prende di petto Augusto La Torre, il camorrista che, nel 2011,

dopo anni e anni di carcere e l'ennesimo pentimento, ritrova improvvisamente

la memoria e racconta di aver immesso negli anni Ottanta settecento milioni

nel capitale del caseificio di Mondragone. Peccato che la sua confessione

 non trovi riscontro nella realtà. Mandara, che ha avuto la sfortuna di operare

 in una terra bellissima ma disgraziata, infestata dalla malapianta della criminalità,

 si è ritrovato come vicini proprio i La Torre. Forse all'inizio ha coltivato

 con leggerezza la loro amicizia, poi è finito, come tanti industriali del Sud,

nell'imbuto delle estorsioni e delle umiliazioni finchè, nel 2003, si è ribellato e

 ha avuto il coraggio di denunciare il boss. Ecco allora che lo spartito va rovesciato:

il re della mozzarella non era un complice ma, semmai, una vittima.

 «La Torre Augusto - scrive il riesame - -è stato già ritenuto soggettivamente

 inaffidabile in più provvedimenti giudiziari e nei suoi confronti si è più volte proceduto

 per calunnia. Il programma di protezione in corso fu revocato soprattutto grazie

 alla denuncia del Mandara, per la estorsione tentata, commessa in costanza di contratto

 collaborativo. La Torre Augusto è, ad avviso di questo collegio, del tutto inaffidabile

 nella qualità di teste, la sua storia criminale (per tale intendendo anche l'intervallo

 collaborativo che non ha sedato gli entusiasmi delinquenziali del soggetto) è talmente

 costellata di costruzioni artefatte (oltre che di estorsioni e di omicidi a dozzine)

da rendere sospetto e non credibile ogni suo movimento labiale ed ogni suo scritto».

 Eppure i suoi movimenti labiali, per usare le parole ironiche del riesame, sono i pilastri

 di questa inchiesta. Non solo, il collegio fa un calcolo semplice semplice: l'azienda

fu acquistata, nel marzo dell'83, per «215 milioni di lire, dei quali solo 7 pagati in contanti

, tutta la restante

 parte pagata con accollo di un mutuo e il rilascio di effetti cambiari». Insomma,

il racconto di La Torre, con quei fantomatici 700 milioni, fa acqua da tutte le parti.

Ma c'è di più, in un crescendo surreale; Mandara è finito in carcere per essere membro

di un clan che però non esiste più da molto tempo: «Si può fondatamente ritenere che

 il clan La Torre non sia più operativo da almeno dieci anni. Si è detto altresì che nel 2003

 sono cessate le contribuzioni (estorsive) del Mandara al clan. Ebbene il gip ritiene di

 applicare la misura coercitiva per la partecipazione di due soggetti( (Mandara e il suo

 collaboratore Vincenzo Musella, n.d.r.) ad un clan che non esiste più da oltre dieci anni e,

nel rendere ragione di tale necessità cautelare, scrive che non si rileva alcun elemento

 di recisione di tali vincoli. Sono parole - prosegue il riesame - che... non sembrano

potersi spiegare altrimenti che con l'evidenza di un “refuso“, non cancellato dal file

 precedentemente in uso». Sconcertante.

E quantomeno controversa è anche la lettura delle telefonate avvenute nell'estate del 2008.

 Davvero l'azienda ha messo sul mercato le mozzarelle contenenti un pezzo di ceramica?

 Il geometra Pasquale Franzese afferma: «Aspettiamo un attimo». Fino alla mattina successiva,

 par di capire. Per poter prima cercare il frammento, che poi non è di ceramica ma di plastica,

 all'interno dell'impastatrice e bloccare, semmai in seguito, le mozzarelle sospette, ancora ferme

nel deposito di Pistoia. Ma l'indomani i Nas sequestrano il formaggio. Che quattro anni

dopo è ancora in un frigorifero in attesa di analisi. E anche il campione di latte vaccino, peraltro

percentualmente modestissimo, muove i collaboratori di Mandara, pure loro perennemente

 intercettati, all'indignazione nei confronti del fornitore disonesto: «Li minacci- dice una certa

 Anna - io il latte non lo prendo più». Vallo a spiegare agli americani e ai tedeschi che ora non

 si fidano più delle bufale made in Italy.

 

dimanche, août 26, 2012

L'Europa batte gli Usa nella lotta agli eccessi

L'Europa batte gli Usa nella lotta agli eccessi

 

di Marco Onado 20120826 ilsole24ore.com

 


L'Europa sta cercando di costruire una diga contro gli eccessi della finanza e lo sta facendo

molto meglio degli Stati Uniti, che per lungo tempo hanno vantato un'efficienza del proprio sistema di regole

e vigilanza che la crisi finanziaria ha dimostrato essere ampiamente immeritata. Il vecchio continente

nel corso dell'estate, ha fatto due passi avanti importanti, mentre la vigilanza americana e in particolare la Sec,

ha segnato due clamorosi autogol. Se fosse una partita di calcio, saremmo quattro a zero per noi.

Nel corso dell'estate hanno preso definitivamente corpo due regolamenti europei importanti, relativi a tre aspetti

che sono stati al centro della crisi finanziaria: le vendite allo scoperto, le posizioni in Credit default swap (Cds),

i mercati derivati Over-the-counter (Otc) cioè non regolamentati e comunque privi di una controparte centrale

che assuma su di sé il rischio di insolvenza di uno dei contraenti. Questi ultimi, come hanno dimostrato i casi

Lehman e Aig, sono un fattore scatenante delle crisi sistemiche.

Fin dal 2009, sulla base di un documento del Financial Stability Board (Fsb) allora presieduto da Mario Draghi,

il G-20 aveva indicato la necessità di una regolamentazione adeguata su questi, come su altri problemi.

Quel documento iniziava con un'interessante premessa che ribadiva la necessità di un quadro di nuove regole

e rivolto alle banche diceva testualmente che «la speranza illusoria che gli affari possano andare avanti esattamente

come prima deve essere cancellata».
L'Europa, pur travagliata dalla crisi, ha «fatto i compiti a casa» e sta completando l'iter legislativo e regolamentare

delle importanti misure prima citate. Il Regolamento su vendite allo scoperto e Cds entrerà in vigore

il prossimo novembre, mentre la consultazione sui mercati Otc è in fase avanzata. Due aspetti meritano

di essere sottolineati. Primo: è molto difficile disciplinare settori tecnicamente così complessi, in cui finora nessuno

era intervenuto in modo sistematico.

Il regolatore europeo si è spinto davvero in territori inesplorati dell'attività finanziaria, ma lo ha fatto con decisione

ed assicurando un'ampia dialettica con gli operatori e il mercato. Non è esagerato dire che nei grandi territori

della finanza in cui, come nel vecchio West, dominava solo la legge del più forte, oggi è arrivato lo sceriffo. 

Il secondo punto è ancora più importante. La regolamentazione di vendite allo scoperto, Cds e Otc ha alla base

un concetto fondamentale: non tutta l'attività finanziaria è utile, anzi una parte può costituire un grave fattore inquinante

e destabilizzante per l'attività produttiva. L'obiezione cara alle lobby che il regolatore ostacola in questo modo l'innovazione

finanziaria è priva quindi di fondamento, perché è provato al di là di ogni ragionevole dubbio che non tutta l'innovazione

è efficiente. Come hanno messo in evidenza autorevoli economisti e anche molte autorità di vigilanza (in particolare

Adair Turner nominato nel 2008 a capo della britannica Financial Services Authority) esiste una finanza utile

all'attività produttiva (useful), una finanza puramente fine a sé stessa (useless) e una finanza nociva (harmful).

La crisi ci ha insegnato non solo che eravamo totalmente privi di strumenti contro la seconda e la terza, ma non avevamo

neppure le informazioni necessarie per identificarle e misurarle. E' quindi un'autentica innovazione leggere

nel Regolamento europeo (art.4) che "le posizioni scoperte in Cds su emittenti sovrani sono posizioni che non servono

come copertura legittima", oppure che "chi detiene una posizione corta netta in debito sovrano superiore

ad una determinata soglia deve notificare tali posizione all'autorità competente". 

Naturalmente, l'applicazione tecnica di questi principi sarà molto complessa, ma il significato politico di questa innovazione

regolamentare non può essere sottovalutato. Da un lato, si è detto chiaramente che vi sono operazioni finanziarie che è

nell'interesse generale considerare nocive e dall'altro si è scelta la strada della trasparenza, anziché del divieto generalizzato,

per le vendite allo scoperto.

E l'America? Come è noto, è stata varata una riforma a tutto campo (il Frank-Dodd Act del 2010) tanto ambiziosa

quanto farraginosa: il testo è un agile volumetto di oltre 2000 pagine che rinvia a decine di altri provvedimenti

delle autorità di vigilanza. Fra queste, la Sec appare quella più in difficoltà e nel corso dell'estate ha lanciato

due segnali negativi al mercato. A luglio, ha deciso di rinviare, non si sa bene per quanto, la discussione

sulla adozione negli Stati Uniti dei principi contabili internazionali.

Qualche giorno fa, è arrivata una notizia ancora più clamorosa: la presidente, Mary Shapiro ha scritto sul sito dell'autorità

che tre commissari, che costituiscono la maggioranza della Commissione, non condividono un documento preparato

dagli uffici sulla regolamentazione dei Money market mutual funds e che questo quindi non sarà messo

in pubblica consultazione.

Si badi che questi fondi sono quantitativamente molto importanti negli Stati Uniti (2,6 trilioni di dollari, di cui 1,7

detenuti da operatori istituzionali) e promettono agli investitori una liquidità eccessiva rispetto ai normali rischi

di un investimento in titoli, sia pure a breve.

Quando il prezzo rischia di scendere sotto il valore nominale (cioè breaks the buck, la soglia fatidica di 100) scatta un'autentica

spirale distruttiva fatta di vendite a prezzi sempre più bassi e di ritiro di fondi liquidi (l'equivalente di una corsa agli sportelli bancari)

che dal 2008 si è dimostrata essere una delle cause fondamentali delle implicazioni della diffusione sistemica della crisi.

Sia l'adozione dei principi contabili internazionali (cioè quelli vigenti oggi in Europa), sia la regolamentazione dei fondi monetari

erano incluse fra le raccomandazioni del Fsb e del G-20 di tre anni fa. Ma su entrambi gli Stati Uniti e in particolare la Sec

hanno alzato bandiera bianca. Purtroppo, non possiamo consolarci con la legittima soddisfazione di aver realizzato

in Europa quello che l'America non è stata in grado di fare perché nel mondo della finanza globale, le asimmetrie di regolamentazione

possono avere effetti devastanti. Anche noi quindi abbiamo legittimi motivi per preoccuparci, ma sappiamo fin d'ora dove stanno

quelli che vogliono continuare a "fare gli affari esattamente come prima". Una frase di Mario Draghi,

non di uno del movimento Occupy Wall Street.


26 agosto 2012

samedi, août 25, 2012

La Merkel ha le sue Pussy Riot e le tratta proprio come Putin

La Merkel ha le sue Pussy Riot

e le tratta proprio come Putin

 

Tre attivisti irrompono nella cattedrale di Colonia,

rischiano anche loro tre anni di galera e pure di più.

E Angela criticava la Russia "anti-europea"...

 

La Merkel le sue Pussy Riot le tratta proprio come Putin

 

di Maurizio Stefanini   liberoquoditiano.it    20120825

Anche in Germania protestare in una cattedrale espone a una condanna a tre anni di carcere.

«La sentenza troppo severa ed eccessiva non è in linea con i valori della legge europea e

della democrazia sottoscritti dalla Russia in qualità di membro del Consiglio d'Europa»,

aveva dichiarato Angela Merkel quando si era saputo della condanna alle Pussy Riot

a tre anni per la “preghiera punk” alla Madonna nella Chiesa del Cristo Salvatore,

a «liberare la Russia da Putin».

Ma è la stessa pena che il codice della Repubblica Federale di Germania riserva

ai tre attivisti che lo scorso fine settimana hanno fatto irruzione in una cattedrale

di Colonia per manifestare proprio in favore del gruppo russo.

Insomma, un altro bel saggio di ipocrisia da parte della Kanzlerin, che peraltro deve

esserci ormai abituata! I tre, due uomini di 23 e 25 anni e una donna di 20,

si erano vestiti esattamente come le Pussy Riot nella famosa performance,

e si erano messi non solo a distribuire volantini con la scritta “Libertà alle Pussy Riot

e a tutti i prigionieri”, ma anche a gridare slogan dello stesso tenore. La Chiesa cattolica

li ha denunciati e ora i tre rischiano la condanna. «La pace della Cattedrale di Colonia

è stata interrotta. Non possiamo accettarlo e non lo accetteremo»,

ha detto il decano della cattedrale Robert Kleine al quotidiano Frankfurter Rundschau.

«Il diritto di manifestazione non può stare al di sopra della libertà religiosa e dei

sentimenti religiosi della congregazione». Va detto che mentre per le Pussy Riot

sono state una condanna anche mite visto che avrebbero potuto arrivare

a un massimo di sette anni, per i tre tedeschi si tratta della punizione massima

. In effetti potrebbero cavarsela anche con una multa, e nel 2006 un berlinese

che interruppe un servizio religioso gridando e lanciando volantini ebbe nove mesi. 

Ci sono pure alcune differenze di contesto, che però dal punto di vista dei tedeschi

potrebbero essere considerate aggravanti. Innanzitutto, mentre le Pussy Riot

contestavano l’allineamento del Patriarcato di Mosca al governo di Putin, non si

capisce cosa c’entri la Chiesa cattolica tedesca con le scelte della chiesa ortodossa russa.

Sarebbe come dire che la Juventus ha rubato l’ultima Supercoppa a Pechino, e per protesta

andare a sfasciare la sede dell’Inter o del Milan. 

E poi, la Germania è un Paese dove esiste una larga libertà di manifestazione,

e i tre non avrebbero avuto problemi a ottenere il permesso per manifestare il proprio appoggio

alla Pussy Riot in qualunque altro luogo più consono. A differenza della Russia, dove ci sono

effettivamente alcune storiche limitazioni alla libertà di manifestazione: ora riconosciute

implicitamente anche dal Comune di Mosca, nel momento in cui ha appena annunciato l’istituzione

di due “manifestodromi” in cui si potranno organizzare proteste e comizi senza bisogno neanche

di chiedere l’autorizzazione. Comunque un passo avanti, anche se gran parte dell’opposizione

ha già espresso il proprio rifiuto per quella “ghettizzazione”.  

Ma anche se ci si trovasse nei confronti del più totalitario dei regimi, sarebbe moralmente lecito

usare per una protesta un luogo di culto senza il consenso dei religiosi che vi sono preposti?

Il problema si è posto poco prima dell’ultima visita di Benedetto XVI a Cuba,

quando un gruppo di 13 militanti del clandestino Partito repubblicano di Cuba aveva occupato

una chiesa dell’Avana per chiedere la liberazione dei prigionieri politici, la fine della repressione,

l’aumento dei salari e delle pensioni, e che Benedetto XVI si incontrasse con esponenti del dissenso.

Lo stesso cardinale Ortega, che pure in passato è stato detenuto nei famigerati campi di lavoro

castristi della Umap, chiese alle autorità di intervenire, e la polizia sgomberò la chiesa in 10 minuti.

Ne seguirono dure polemiche, ma due importanti esponenti del dissenso come Marta Beatríz Roque Cabello

e Yoani Sánchez riconobbero che i “repubblicani” avevano sbagliato, e che trasformare un luogo di culto

in una trincea di scontro politico era un’offesa alla sensibilità dei credenti.