mercredi, janvier 05, 2011

Chi ha tradito il Pd?

Chi ha tradito il Pd? - [ Il Foglio.it › La giornata ]


di Claudio Cerasa  ilfoglio.it    201110105

La vocazione minoritaria, la deriva sinistra, gli errori dei leader, la diaspora quotidiana e la fine di un progetto. Lettera di uno sconsolato ammiratore perso in mezzo ai pasticci democratici

Caro Pd, questa letterina ti arriva da un ammiratore sincero che ti segue con affetto ormai da qualche tempo e che da un paio d’anni a questa parte, con interesse, ti studia, ti ascolta, ti contempla, ti critica e qualche volta ti consiglia ma che in un modo o in un altro si è sempre sforzato di stare appresso a tutte le tue scelte, a tutte le tue mosse e a tutte le tue spesso movimentate fasi di crescita politica. Il tuo estimatore, per l’esattezza, iniziò a osservarti nell’autunno di tre anni fa, quando si convinse che, rispetto a tutti i partiti che all’epoca erano in circolazione, quello che portava il tuo nome aveva tutte le caratteristiche per essere una creatura potenzialmente vincente e, perché no, persino un po’ rivoluzionaria. Ma di fronte a tutti i fatti accaduti negli ultimi mesi, di fronte al tuo timido conservatorismo (vedi il caso Marchionne), di fronte al tuo limitato riformismo (vedi il caso primarie), e di fronte alla tua non indifferente trasformazione, alla tua improvvisa mutazione e alla tua inspiegabile trasfigurazione, ecco, oggi il tuo ammiratore fa davvero una gran fatica a riconoscerti; ed è proprio per questo che, un po’ per sfogarsi e un po’ per provare a consigliarti, ha scelto di scriverti questa lettera: per cercare di ricordarti, semplicemente, che cosa c’è che forse non va.
Ecco, caro Pd, forse ricorderai che, come tantissimi altri tuoi estimatori, il tuo ammiratore ti aveva conosciuto in un momento storico eccitante, in cui tu, con coraggio, avevi deciso di presentarti sullo scenario politico nazionale come un partito che avrebbe avuto come compito principale, oltre a quello di vincere le elezioni, cosa che finora, purtroppo, non ti è riuscita granché, quello di diventare la vera grande casa del centrosinistra; di trasformarti, si diceva così all’epoca, nel contenitore unico di tutte le anime del progressismo italiano; e di puntare sempre di più sulla tua forza d’attrazione, sulla tua forza centripeta, e non, come invece ti riesce con innegabile successo oggi, sulla tua poco incoraggiante forza centrifuga. Eri, insomma, caro Pd, un partito che aveva capito, anche grazie alla confusa esperienza governativa turigliattianprodiana, che il modo migliore per battere i tuoi avversari non era quello di sedersi attorno un tavolo per disegnare, prima di ogni altra cosa, complicate e brancaleonesche alleanze (spesso incomprensibili persino per i tuoi elettori), ma di perdere un po’ di tempo per costruire, con un’identità precisa, con una struttura definita e con una tua offerta circoscritta, una proposta davvero alternativa al centrodestra. Per essere chiari, caro Pd, il tuo ammiratore, all’epoca, era rimasto affascinato quando aveva pensato di poter osservare, e persino di votare, un partito che ambiva a essere non un pedone anonimo di una confusa armata di centrosinistra; ma il protagonista assoluto del grande battaglione alternativo alle truppe del centrodestra. Qualcuno sintetizzò quella strategia con un termine complicato, “vocazione maggioritaria”, la cui semplice rievocazione, te ne sarai accorto, mette chiunque oggi tra i democratici a rischio di immediata lapidazione. Ma se, come è ovvio, al tuo ammiratore non sfugge che quella definizione, nei fatti, è stata rabbiosamente sbianchettata dal vocabolario delle parole d’ordine del pensiero democratico, dall’altro lato, beh, non sfugge neppure che la tua visione della politica oggi sia purtroppo riassumibile con un tipo di atteggiamento che molti osservatori sintetizzano con un’espressione azzeccata. Quella lì, sì: vocazione minoritaria. Ebbene, è proprio attorno a quella definizione che questa lettera vorrebbe segnalarti un paio di cosine che forse, all’inizio dell’anno, potrebbero anche tornarti utili, caro Pd.

Cominciamo dalla prima questione e dal primo problema che spesso qualcuno ha definito con una formula molto difficile da decrittare: “Il progressivo slittamento a sinistra del tuo baricentro politico”. Si vabbè, e che vor di’? Ecco, per quanto complesso, il tema è non soltanto centrale ma in un certo senso anche rappresentativo della tua improvvisa tentazione di voler occupare, sembra quasi con orgoglio, un ruolo eternamente minoritario nel panorama politico nazionale. E “spostare il tuo baricentro a sinistra”, caro Pd, significa, semplicemente, aver smesso di inseguire un obiettivo che tre anni fa tu stesso definivi primario. Ovvero quel tentativo, valoroso, di offrire al tuo elettorato una classe dirigente capace di essere espressione di una miscela nata dalla fusione di due esperienze diverse e potenzialmente complementari: sinistri e moderati, cattolici e comunisti. E invece oggi, caro Pd, converrai che quell’idea sembra essere finita chissà dove e che il tuo segretario avrà pure affidato ad alcuni bravi cattolici parecchi posti importanti all’interno del partito (presidenza, vicesegreteria, capogruppo alla Camera, eccetera) ma nei fatti, con il suo lessico, con le sue proposte e soprattutto con la sua comunicazione, ha dirottato la tua rotta su un percorso già battuto, con scarsa fortuna, da molti tuoi predecessori di sinistra. Non si vuole dire che oggi tu sia un gemello diverso del vecchio Partito comunista (magari, verrebbe da dire) ma, caro Pd, hai mai fatto caso che in questo momento, per dire, le uniche regioni in cui in Italia riesci, e spesso faticosamente, a essere maggiormente rappresentato sono le stesse, esattamente le stesse, in cui erano riusciti a radicarsi anni fa i tuoi celebri antenati di sinistra? Toscana, Emilia Romagna, Umbria, Marche, Liguria; e poi davvero, poco, davvero, pochissimo altro. Ed è ovvio, caro Pd, che un partito di centrosinistra che diventa sempre più di sinistra finisce per creare una competizione tra leader sempre meno di centro e sempre più di sinistra. Ed è altrettanto ovvio che un partito sempre più di sinistra sia destinato a ricercare il suo leader tra pretendenti sempre meno democrat e sempre più spostati a sinistra. E se ci pensi poi, caro Pd, in fondo solo un ex figiciotto come Nichi Vendola – uno che all’inizio degli anni Novanta, ricorderai, considerava “una stupidaggine” l’idea occhettiana di sostituire nel simbolo del partito la vecchia falce e martello con la prima di una lunga selezione botanica: la Quercia – oggi può far sembrare il tuo segretario come se fosse un formidabile moderato.
E già, Vendola: c’hai mai ragionato sul governatore della Puglia? Riflettici: quando Fausto Bertinotti, nel 2006, si mise a capo di una coalizione molto variopinta (era la Sinistra l’arcobaleno, o come diavolo si chiamava) al cui vertice c’era un partito, Rifondazione comunista, che in quell’anno toccò quasi il 6 per cento, beh, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di considerare realisticamente ipotizzabile l’idea che il segretario di un partito così piccolo, e così minoritario, potesse avere delle possibilità concrete di guidare una coalizione di centrosinistra: sarebbe stata una follia. E invece oggi, con un segretario di un partito che ha un peso elettorale che vale tre volte meno quello della vecchia rifondazione bertinottiana, ecco, nessuno si meraviglia del fatto che un Vendola possa ambire a rubare lo scettro di comando del secondo partito più grande d’Italia. Ti sembra possibile? Non credi ci sia qualcosa che non vada? E non pensi che, per esempio, rinunciare alle primarie per paura di essere fogacitati da Vendola sia uno scoraggiante segnale di profonda debolezza?

Ma c’è di più, caro Pd, perché ci sono almeno altre tre cose che lo scorso anno il tuo ammiratore ha osservato con attenzione, e con un po’ di preoccupazione, e intorno alle quali proprio non è riuscito a farsene una ragione. La prima si chiama Gianfranco Fini, la seconda si chiama Pier Ferdinando Casini. In realtà, sì, ce ne sarebbe anche una terza che si chiama Antonio Di Pietro, una terza che già nel 2008 il tuo estimatore considerava il tuo primo, e forse letale, peccato originale, e che per molti versi ha rappresentato per te, caro Pd, una sorta di dolce veleno che troppo spesso ha silenziato la tua anima garantista, e che altrettanto spesso ti ha costretto ad assumere toni, stili e atteggiamenti che non avrebbero niente a che fare con il tuo Dna liberal e moderato, vero? Perché, suvvia, caro Pd, che c’entri tu con quel partito di secondini che si diverte a cavalcare indagini spesso costruite molto velocemente e molto evidentemente sulle fragili spalle di deboli inchieste giudiziarie; che si fida più delle parole dei figli dei mafiosi piuttosto che di quelle dei poliziotti che i mafiosi li facevano arrestare; e che, evidentemente, aspira a combattere i propri avversari non con lungimiranti progetti politici ma con le comode e tintinnanti minacce delle manette preventive?
E poi, caro Pd, ma ci spiegheresti a noi poveri ammiratori e tuoi potenziali elettori che cosa c’entri, tu, con quel Gianfranco Fini lì? Dicci: ti sembra normale poi che nel giro di un anno, tu che sei comunque il maggior partito d’opposizione, hai scelto, per almeno due volte, di offrire il tuo prezioso tesoretto politico a quelli che fino a pochi mesi prima erano tuoi nemici giurati? E ancora, caro Pd, ma ti sembra normale che negli ultimi mesi, durante l’estate, durante l’autunno e durante tutti i mesi in cui, almeno mediaticamente, il presidente della Camera ha messo sotto scacco il presidente del Consiglio, tu, piuttosto che comportarti come si sarebbe comportato un qualsiasi altro partito d’opposizione in una qualsiasi altra parte del mondo, invece che gioire e spronare le tue truppe alla battaglia e invece che esultare e sognare di prenderti la rivincita urlando “ragazzi, finalmente le elezioni!”, ti sei ritrovato con un’intera classe dirigente che ha tentato vanamente di eccitare i suoi elettori pronunciando quotidianamente espressioni dal discutibile fascino come, chessò, “signori, serve un governo tecnico”, “ragazzi, occorre un esecutivo di salute pubblica”, “compagni, puntiamo a una soluzione transitoria…”.

E poi, e questa proprio ce la siamo segnata, ma ti sembra possibile, caro Pd, che negli ultimi mesi la tua più chiara proposta alternativa per guidare il paese sia stata quella lucidamente riassunta qualche mese fa dal tuo ex segretario, Dario Franceschini, che in una storica intervista a Repubblica (era il 22 agosto) ha sinceramente ammesso di essere disposto a liberarsi dal berlusconismo anche a costo di costruire una coalizione d’opposizione, “una grande alleanza democratica”, semplicemente “con chi ci sta…”. Beh, caro Pd, è stato in quel momento che molti tuoi ammiratori hanno cominciato a sentirsi, come dire, un pochino spiazzati (“La grande alleanza democratica?”. Con “chi ci sta?”. “Ma che sta di’?”) ed è stato proprio a quel punto che il tuo ormai esausto estimatore ha pensato subito all’altra espressione che il tuo segretario ha deciso di utilizzare per combattere la “grande battaglia democratica del paese”. Sì, dai, quella lì: il nuovo Ulivo. Bene, caro Pd, forse qui andrebbe chiarito con urgenza un punto importante che riguarda il tuo passato ma che, ne siamo certi, riguarda un po’ anche il tuo futuro. Forse non te lo ricordi già più, caro Pd, ma alla fine del 2007 tu nascesti proprio sull’onda di uno spirito di repulsione che si era andato a creare nel popolo del centrosinistra nei confronti di, come dire, un’esperienza traumatica e disastrosa rappresentata da quell’Ulivo-Unione che ha governato il paese, non con molto successo, dall’aprile del 2006 al gennaio del 2008. E forse, caro Pd, forse non ricorderai neanche questo ma all’epoca sei stato proprio tu a intuire che uno dei grandi desideri dell’elettorato del centrosinistra era proprio quello di non avere mai più niente a che fare con una rappresentativa di governo che andava da un Franco Turigliatto, passava per un Clemente Mastella e arrivava, poveri noi, fino a un Alfonso Pecoraro Scanio. E allora, caro Pd, non ci è difficile riconoscere che il grande equivoco storico che può aver reso difficile l’evoluzione del tuo progetto originario sia stato proprio quello: non aver ammesso, in modo chiaro e preciso, che se tu non hai vinto le elezioni nel 2008 è stato, prima di ogni altra cosa, perché il tuo elettorato fu traumatizzato da quella confusa e surreale esperienza di governo; e solo tu oggi potevi allegramente credere che i tuoi simpatizzanti sentissero l’urgente bisogno di essere stimolati con una delle parole che fu il vero simbolo di quel fallimento: l’Unione, e dunque l’Ulivo. E in fondo, bastava osservare con un po’ di attenzione i quotidiani nei giorni in cui il segretario parlò per la prima volta di quel lungimirante progetto per rendersi conto di chi fossero, ahinoi, i nomi che avevano deciso di aderire de corsa al tuo fantastico progetto strategico: Paolo Ferrero (segretario di Rifondazione comunista), Oliviero Diliberto (segretario nazionale Pdci/Fds), Angelo Bonelli (segretario dei Verdi), Riccardo Nencini (segretario del Psi) e poi via via tutti gli altri. Con l’unica differenza, non proprio secondaria, che nella tua idea alternativa di nuovo Ulivo, di partito del “chi ce sta”, oltre ai tanti nomi già dolorosamente noti, tu hai pensato di coinvolgere qualcun altro come Pier Ferdinando Casini, “anche a costo di mettere in discussione i nostri strumenti” (Bersani, Repubblica, 17 dicembre). Dunque, non solo ammettendo di volerti disfare di un formidabile strumento come quello delle primarie (che a oggi resta la tua unica vera invenzione e la tua unica felice rivoluzione) ma servendo ai tuoi osservatori il miglior esempio che avresti mai potuto offrire per raffigurare plasticamente quel diffuso e fallimentare progetto politico che su questo giornale, alcune settimane fa abbiamo definito in modo semplice semplice: il TTB, Tutto Tranne Berlusconi.
E qui, caro Pd, qui arriviamo al simbolo di un pasticcio che potrebbe provocare, sempre più rapidamente, se non la morte almeno il fallimento del progetto del Pd. “Quando ho sentito parlare di Casini – ha confessato al tuo ammiratore qualche giorno fa un fedele dirigente democratico – ho pensato che il mio partito avesse definitivamente deciso di affidarsi a una vecchia e rudimentale forma di catenaccio, rinunciando alla ricerca della tattica giusta per attaccare gli spazi, conquistare lentamente la metà campo avversaria e tentare di buttare la palla in rete più dei nostri rivali. Ed è vero che spesso con il catenaccio si vince qualche partita ma è anche vero che, con quella formula lì, spesso si finisce per prendere tante, ma proprio tante pallonate in faccia”.
Bene: per chi non se ne fosse accorto, forse bisognerebbe spiegare quanto è successo in quegli incredibili giorni pre natalizi, in cui i tuoi massimi dirigenti – veltroniani, bersaniani, fassiniani, franceschiniani e soprattutto dalemiani – si sono convinti che, in un’ipotetica costruzione di un’ipotetica alleanza competitiva al centrodestra, il modo migliore per conquistare l’elettorato moderato sia nientemeno quello di offrire al leader dell’Udc, Casini, la guida di questa grande, grandissima coalizione che andrebbe insomma da Oliviero Diliberto e arriverebbe fino a Italo Bocchino. Ecco, caro Pd, a parte che non è davvero niente male che nei tuoi piani il tuo nuovo Romano Prodi sia oggi lo stesso politico che rischia seriamente di tornare a essere un alleato del tuo grande nemico con la coda da caimano, ma forse ti sfugge anche che questa storia, e questa strategia, come direbbe Nichi Vendola, “non è incompatibile con la tua storia: è incompatibile con la tua vita”. Ma fuori dalla poetica vendoliana, ciò che più di ogni altra cosa stupisce il tuo ammiratore è vedere che un partito nato – ti ricordi? – per mettere sul mercato una nuova miscela esplosiva sia costretto a delegare a qualcun altro la raccolta del tuo elettorato moderato, incoraggiando di fatto una lenta fuoriuscita dei tuoi elettori e dei tuoi militanti non postcomunisti e comportandosi così, né più né meno, come fosse, chessò, il vecchio Pds.

Caro Pd, vedi, qualche tempo fa, proprio su questo giornale, partendo da uno spunto di Barbara Palombelli, ci interrogammo su che cosa ci fosse dopo di te, e ci sforzammo di capire se fosse realisticamente possibile immaginare un futuro, per un partito malridotto come il tuo. Ancora oggi, ti confessiamo, fatichiamo a trovare una risposta positiva, e nel migliore dei casi riusciamo a osservarti come se fossi nient’altro che una sorta di versione aggiornata del Labour 2.0, una insomma confusa e curiosa rappresentazione finale di quella lunga filiera sinistra nata con il Pci e finita con i Ds. Certo, è probabile che con queste mosse improvvisate e queste strategie spesso abborracciate le cose andranno avanti ancora a lungo così, ma per chi da anni ti studia, ti ascolta e ti contempla è difficile non concludere questa lettera senza ammettere che se ieri c’era qualcuno che ti apprezzava – e che per questo ti votava – per la tua potenziale spinta rivoluzionaria, la verità è che oggi quando al tuo ammiratore chiedono “ehi, ma che senso ha questo Pd?”, lui non riesce più a trovare una risposta che sia molto differente da un semplice “scusa mi spiace ma proprio non lo so”. E forse, sì, forse non servirà a nulla ma il tuo estimatore volevava dirtelo per provare a farti ragionare. E chissà, magari non è ancora troppo tardi, e magari a qualcosa servirà.


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