samedi, janvier 15, 2011

Contro la casta delle toghe il Cav. ci deve una vera riforma

Contro la casta delle toghe il Cav. ci deve una vera riforma | l'Occidentale
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Giancarlo Loquenz  loccidentale.it    14 Gennaio 2011

Una qualsiasi casta di potere cui fosse concesso di scegliersi a tavolino la migliore legislazione tale da coniugare autotutela, massima influenza pubblica, vantaggi personali e irresponsabilità politica, prenderebbe a modello le norme, costituzionali e non, che regolano la magistratura italiana.

Non c’è altro paese dove valga lo stato di diritto in cui i magistrati “possono tutto” come accade in Italia. Non dipendono dal potere politico, le loro carriere – giudicante e requirente - sono intrecciate e intercambiabili, non rispondono civilmente dei loro errori, non sono sottoposti a una catena gerarchica interna, godono della tutela costituzionale del Csm, si auto-erogano le sanzioni disciplinari, controllano le indagini di polizia e in virtù dell’obbligatorietà dell’azione penale dispongono di un totale arbitrio operativo.

I magistrati italiani sono divisi, litigiosi ed esposti, come ogni altra categoria, ai vizi del carrierismo e della clientela, ma sua una cosa sono uniti fino allo spasimo: nessuna riforma sulla magistratura può essere fatta contro o senza di loro. Alla fine dunque meglio nessuna riforma, anche a costo di mandare allo sfacelo la macchina della giustizia, piuttosto che rischiare che qualcosa possa sfuggire al controllo.

E si capisce bene perché: una tale condizione di grazia e di potere consolidatasi con il tempo e con una strenua attività di lobbying politico-istituzionale è ormai così perfetta che ogni modifica non potrebbe che costituire un arretramento.

Mentre negli anni, la politica, i sindacati, i potentati economi e industriali, la Chiesa, insomma ogni altro centro di potere in Italia, ha dovuto accettare condizionamenti e limitazioni, vivere fasi di ripiegamento e di riorganizzazione, la magistratura è riuscita a resistere a ogni tentativo esterno di riforma.

Allo stesso tempo la sua pervasività, lo spazio della sua azione si è ampliato a dismisura. Dalla culla alla tomba, non solo la libertà (è già sarebbe moltissimo) ma ormai anche la vita dei cittadini è alla mercè di un giudice. Ci dicono come dobbiamo nascere e quando dobbiamo morire, entrano d’imperio nelle vite private, nelle stanze da letto, nelle conversazioni telefoniche; dispongono sull’educazione dei figli, sulle abitudini religiose, sull’agenda del governo, sui conduttori dei tiggì; hanno una gigantesca influenza sull’attività economica e produttiva – e non solo grazie agli arbitrati e alle consulenze -; incidono sulla legislazione (non c’è gabinetto di ministero che non sia presidiato da magistrati o gruppo parlamentare che non ne conti una buona percentuale), vanno nei talk show, scrivono libri, diventano leader di partito, determinano i destini di intere legislature o classi politiche.

Eppure quando si pensa ai mali del paese nessuno azzarda che a fronte di una tale influenza possa corrispondere una qualche responsabilità. No, i magistrati godono per lo più di un alone di santità ed eroismo che li astrae dai guai di ogni giorno e anzi gli affida una missione palingenetica.

In questo sono stati aiutati dalla mostrificazione di Silvio Berlusconi da parte di un complesso mediatico-politico molto facilmente individuabile. L’immenso potere è l’assoluta irresponsabilità di cui godono i magistrati italiani hanno trovato la loro giustificazione nell’antiberlusconismo militante che la casta delle toghe ha saputo sfruttare al meglio. Con Berlusconi “male assoluto” la loro conquista di fatto del potere ha assunto le sembianze di una battaglia per il bene e per la democrazia.

Giornali come la Repubblica, l’Unità, il Manifesto, il Fatto Quotidiano sono diventati i corifei di questa magistratura militante, il fan sfegatati della nuova casta, abdicando completamente a qualsiasi missione di verifica e controllo sul potere e sui suoi scopi, da qualsiasi parte alligni. Il marchio di garanzia antiberlusconiano ha messo al riparo i magistrati italiani da ogni scandaglio pubblico: non vanno disturbati perché rappresentano l’ultimo bastione tra il paese inerme e la resa alla dittatura del Caimano. Qualcuno dei suoi avversari l'ha anche capito, ma come D'Alema quando parla off the rcord con l'ambasciatore americano e dice che la magistratura è una pericolosa anomalia italiana, può solo sussurarlo in segreto.

In questo c’è anche una responsabilità di Berlusconi. Lo strapotere conquistato dalle procure nella acerrima battaglia contro di lui è qualcosa che ha intaccato la libertà di tutti. La possibilità di scorazzare liberamente nelle nostre vite che i magistrati si sono via via accaparrati è ormai a livello di guardia. Per questo quando pretendiamo una vera riforma della giustizia, un serio riequilibrio tra i poteri, non pensiamo a qualcosa che debba servire al presidente del Consiglio, ma a noi tutti cittadini di questo paese. Berlusconi ce la deve.


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