Il Fatto contro i giudici fallimentari: "Sono corrotti" - marco, travaglio, il, fatto, giudici, fallimentari - Libero Quotidiano
http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/1379486/Il-Fatto-contro-i-giudici-fallimentari---Sono-corrotti-.html
mardi, décembre 31, 2013
samedi, décembre 28, 2013
Mps, la Fondazione si salva e la banca torna un problema dello Stato - Il Fatto Quotidiano
vendredi, décembre 27, 2013
Pensioni, compie 40 anni il decreto che fece nascere le babypensioni (e che ci costa ancora oggi lo 0,4% di Pil) - Il Sole 24 ORE
Pensioni, compie 40 anni il decreto che fece nascere le babypensioni (e che ci costa ancora oggi lo 0,4% di Pil) - Il Sole 24 ORE
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-12-26/pensioni-compie-40-anni-decreto-che-fece-nascere-babypensioni-e-che-ci-costa-ancora-oggi-04percento-pil-184329.shtml?uuid=AB9cLEm
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2013-12-26/pensioni-compie-40-anni-decreto-che-fece-nascere-babypensioni-e-che-ci-costa-ancora-oggi-04percento-pil-184329.shtml?uuid=AB9cLEm
jeudi, décembre 26, 2013
mercredi, décembre 25, 2013
mardi, décembre 24, 2013
lundi, décembre 23, 2013
samedi, décembre 21, 2013
jeudi, décembre 19, 2013
mercredi, décembre 18, 2013
lundi, décembre 16, 2013
mardi, décembre 10, 2013
Ciampi, buon compleanno all'uomo di euro e Porcellum: è tutta colpa sua - ciampi, ciampi porcellum, ciampi debito pubblico, carlo azeglio ciampi, ciampi carlo azeglio, maria giovanna maglie - Libero Quotidiano
Ciampi, buon compleanno all'uomo di euro e Porcellum: è tutta colpa sua - ciampi, ciampi porcellum, ciampi debito pubblico, carlo azeglio ciampi, ciampi carlo azeglio, maria giovanna maglie - Libero Quotidiano
http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/1367274/Ciampi--buon-compleanno-all-uomo-di-euro-e-Porcellum--e-tutta-colpa-sua.html
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Cimini a La Zanzara: "Berlusconi e Ruby? Indagato perché politico. In Tribunale a Milano anche le toghe fanno sesso" - bunga bunga, ruby, processo ruby, sesso tribunale, berlusconi, frank cimini, la zanzara cimini, radio24 - Libero Quotidiano
Cimini a La Zanzara: "Berlusconi e Ruby? Indagato perché politico. In Tribunale a Milano anche le toghe fanno sesso" - bunga bunga, ruby, processo ruby, sesso tribunale, berlusconi, frank cimini, la zanzara cimini, radio24 - Libero Quotidiano
http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/1367110/Cimini-a-La-Zanzara---Berlusconi-e-Ruby--Indagato-perche-politico--In-Tribunale-a-Milano-anche-le-toghe-fanno-sesso-.html
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vendredi, décembre 06, 2013
Scalata Unipol Bnl, Fazio e gli altri imputati assolti. Revocate le sanzioni - Il Fatto Quotidiano
jeudi, décembre 05, 2013
Giuseppe Guarino contro l'euro - ECONOMIA
Giuseppe Guarino contro l'euro - ECONOMIA
www.lettera43.it/economia/macro/giuseppe-guarino-contro-l-euro_43675115026.htm
www.lettera43.it/economia/macro/giuseppe-guarino-contro-l-euro_43675115026.htm
mercredi, décembre 04, 2013
mardi, décembre 03, 2013
Ocse: scuola italiana sotto la media, ma migliora in matematica. E il Sud resta indietro - Repubblica.it
lundi, décembre 02, 2013
I ricordi degli avi si possono ereditare: lo conferma uno studio dell'università di Atlanta - Il Sole 24 ORE
dimanche, décembre 01, 2013
Berlusconi, Panebianco: "Non si doveva cacciare così. Italia vittima dei suoi istinti peggiori" - panebianco, panebianco corriere della sera, berlusconi, berlusconi decadenza, panebianco berlusconi - Libero Quotidiano
Berlusconi, Panebianco: "Non si doveva cacciare così. Italia vittima dei suoi istinti peggiori" - panebianco, panebianco corriere della sera, berlusconi, berlusconi decadenza, panebianco berlusconi - Libero Quotidiano
http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/1361618/Berlusconi--Panebianco---Non-si-doveva-cacciare-cosi--Italia-vittima-dei-suoi-istinti-peggiori-.html
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Ferrara scrive a Napolitano: "Basta ribaltoni, facci votare" - ferrara, giuliano ferrara, napolitano, ribaltone, berlusconi, prodi, letta, governo letta - Libero Quotidiano
Ferrara scrive a Napolitano: "Basta ribaltoni, facci votare" - ferrara, giuliano ferrara, napolitano, ribaltone, berlusconi, prodi, letta, governo letta - Libero Quotidiano
samedi, novembre 30, 2013
vendredi, novembre 29, 2013
mardi, novembre 19, 2013
mardi, novembre 12, 2013
lundi, novembre 11, 2013
dimanche, novembre 10, 2013
vendredi, novembre 08, 2013
jeudi, novembre 07, 2013
jeudi, octobre 31, 2013
Alla Camera stipendi allineati. Verso l’alto
IL BILANCIO ANNUALE DELLE SPESE DI MONTECITORIO
136mila
agli elettricisti, 358 mila ai consiglieri
Alla
Camera stipendi allineati. Verso l’alto
Indennità
e rivalutazioni. Diminuisce la distanza tra dirigenti e base
http://www.corriere.it/foto-gallery/politica/13_ottobre_31/quanto-si-guadagna-camera-ada3df8c-41f8-11e3-8636-110cb2716567.shtml
I
conti li ha fatti «United for a fair economy», organizzazione che da Boston si
batte contro la diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Dice una
loro ricerca che se nel 1940 un amministratore delegato guadagnava 14 volte un
lavoratore medio, oggi la proporzione è salita a 531 contro 1. E ci sono casi
dove la distanza tra la base e il vertice di un’azienda è ancora maggiore: come
per la Fiat, dove Sergio Marchionne guadagna 1.037 volte il suo dipendente
medio. Un’esagerazione, la naturale evoluzione del capitalismo, oppure la
giusta distanza? In ogni caso l’esatto opposto di quello che viene fuori
sfogliando le tabelle allegate al bilancio della Camera dei deputati, in questi
giorni all’esame dall’Aula. La distanza fra base e vertice è minima, la
piramide delle busta paga si schiaccia come nemmeno negli Stati Uniti del 1940.
E non perché la retribuzione dei vertici sia bassa, ma perché quella della base
è molto elevata.
Il vertice di Montecitorio, il segretario generale, ha stipendio e responsabilità analoghe a quelle dell’amministratore delegato di una grande azienda: entra con uno stipendio di poco superiore ai 400 mila euro lordi l’anno, ai quali si aggiunge l’indennità di funzione. Ma è scendendo verso la base nella piramide che cresce vertiginosamente la distanza delle retribuzioni dal mercato. Gli operatori tecnici - categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio - vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno. Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.
Il vertice di Montecitorio, il segretario generale, ha stipendio e responsabilità analoghe a quelle dell’amministratore delegato di una grande azienda: entra con uno stipendio di poco superiore ai 400 mila euro lordi l’anno, ai quali si aggiunge l’indennità di funzione. Ma è scendendo verso la base nella piramide che cresce vertiginosamente la distanza delle retribuzioni dal mercato. Gli operatori tecnici - categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio - vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno. Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.
Quanto si guadagna
alla Camera
Una
piramide schiacciata verso l’alto, appunto. E una fotografia che ha davvero
poco a che fare con le busta paga del resto dei lavoratori, sia del settore
privato che di quello pubblico. Per
capire: il reddito medio degli italiani, al netto della nostra evasione fiscale
record, si ferma di poco sotto i 20 mila euro lordi l’anno. Quasi la metà di un
centralinista della Camera dei deputati ad inizio carriera. E di esempi
possibili ce ne sono altri ancora. Gli oltre 400 assistenti parlamentari, cioè
i commessi di Montecitorio, guadagnano in media come il direttore di una
filiale di banca, eppure in generale non svolgono compiti molto diversi dagli
uscieri di altri simili uffici pubblici. Inoltre, sono numerosissimi: 0,7 per
ogni deputato, dopo il taglio voluto dall’attuale segretario generale, mentre
dieci anni fa il rapporto era addirittura 1 a 1. La busta paga degli oltre 170
«consiglieri parlamentari» ha in media lo stesso peso di quella di un primario
ospedaliero, ma a fine carriera supera i 350 mila euro l’anno. Mentre il
primario ha la responsabilità di un reparto, i consiglieri si limitano a
svolgere attività di studio e ricerca, o di assistenza giuridico legale e
amministrativa. Tutto bene così?
In
realtà a complicare i conteggi c’è anche quella selva di indennità che si
aggiungono allo stipendio minimo e che riguardano tutti i livelli
dell’amministrazione: dai 662 euro netti mensili
riservati al segretario generale giù fino ai 108,97 euro, sempre netti e al
mese, per gli autisti parcheggiatori, passando per gli 85 riservati a chi
lavora in cucina e per i 108 incassati dagli addetti al recapito della
corrispondenza.
Ma, pur con la sua piramide schiacciata verso l’alto, la Camera almeno un merito ce l’ha. L’approvazione del bilancio arriva dopo che già quest’estate i dati sugli stipendi dei dipendenti erano stati resi pubblici: un file scaricabile direttamente dal sito internet conferma quelli che per anni erano stati solo sussurri e pettegolezzi. Un’operazione trasparenza, che al Senato non si è ancora vista. Da settimane si dice che gli stessi dati dovrebbero essere pubblicati a breve da Palazzo Madama. Anche quella è una piramide schiacciata, anche quella verso l’alto, probabilmente un po’ più in alto rispetto alla Camera. Ma per il momento bisogna accontentarsi di qualche vecchio dato e di qualche nuovo sussurro.
Ma, pur con la sua piramide schiacciata verso l’alto, la Camera almeno un merito ce l’ha. L’approvazione del bilancio arriva dopo che già quest’estate i dati sugli stipendi dei dipendenti erano stati resi pubblici: un file scaricabile direttamente dal sito internet conferma quelli che per anni erano stati solo sussurri e pettegolezzi. Un’operazione trasparenza, che al Senato non si è ancora vista. Da settimane si dice che gli stessi dati dovrebbero essere pubblicati a breve da Palazzo Madama. Anche quella è una piramide schiacciata, anche quella verso l’alto, probabilmente un po’ più in alto rispetto alla Camera. Ma per il momento bisogna accontentarsi di qualche vecchio dato e di qualche nuovo sussurro.
Quelle Corti esplosive
Quelle Corti esplosive
Da Karlsruhe a Roma. Come nasce e come si spiega la grande guerra tra i
giudici e l’Europa
di Claudio Cerasa @claudiocerasa ilfoglio.it 31 ottobre 2013 - ore
06:59
Tic tac tic tac. Mentre in Italia buona parte
dell’opinione pubblica è impegnata a versare tonnellate d’inchiostro per
definire se sia Matteo Renzi ad assomigliare a Virna Lisi o se non sia invece
Massimo D’Alema a somigliare a Nilla Pizzi, a poche centinaia di chilometri dai
palazzi romani sta andando in scena una silenziosa e micidiale guerra nucleare
che nelle prossime ore sarà destinata a emergere come la punta di un iceberg
nell’istante in cui i giudici della Corte costituzionale tedesca si
esprimeranno sulla legittimità delle politiche monetarie della Banca centrale
europea e in particolare sul programma Omt (Outright Monetary Transactions)
presentato il 26 luglio dello scorso anno da Mario Draghi e perfettamente
sintetizzato dal presidente della Bce con il suo famoso “whatever it takes”.
La decisione della Consulta tedesca, che è attesa entro la fine della
settimana, avrà delle ripercussioni importanti sulla futura architettura
dell’Europa, se non altro perché il piano anti spread ha aiutato i famosi paesi
periferici a dimezzare il differenziale dei propri titoli di stato con quelli
dei Bund tedeschi, ma al contrario di quello che si potrebbe credere la
battaglia in questione non è solo l’ultimo e appassionante capitolo dello
storico conflitto combattuto a colpi di cannonate tra i teorici del rigore
assoluto (i tedeschi, tendenza Bundesbank) e i teorici del rigore cum juicio
(la Bce, tendenza Draghi) ma fa parte di un gioco più grande in cui i
protagonisti della partita sono da un lato i giudici e dall’altro l’Europa. Una
partita le cui dimensioni spesso sfuggono agli osservatori italiani ma che nel
giro di un anno e mezzo ha portato le massime autorità europee a sospettare che
alcune delle corti costituzionali dei paesi membri si siano trasformate in
cellule militanti dell’anti europeismo chiodato. Massime autorità europee che in
questo caso corrispondono al profilo di un gruppo di funzionari della
Commissione europea che in un paper riservato, intercettato giovedì scorso dal
Financial Times, ha denunciato “l’eccessivo attivismo politico” mostrato,
clamorosamente, da alcuni corti costituzionali. Un caso isolato? Seguite il
filo.
Il caso in questione riguarda la sentenza di quella che è la più attiva
tra le corti costituzionali europee, la Corte portoghese, che la scorsa
settimana ha inferto un duro colpo alla Troika bocciando la riforma del lavoro
approvata dal governo conservatore guidato da Pedro Passos Coelho. Il colpo
alla Troika, che nel maggio del 2011 aveva concesso al Portogallo un prestito
di 78 miliardi di euro, non arriva come un fulmine a ciel sereno ma arriva
sull’onda di altre due clamorose sentenze della Consulta. La prima, datata
aprile 2013, è quella che ha annullato la soppressione della tredicesima per i
dipendenti pubblici e i pensionati portoghesi (sentenza che ha obbligato il
governo a riscrivere la legge finanziaria). La seconda, datata agosto 2013, è
quella che ha bocciato la misura governativa che creava un nuovo regime di
“mobilità speciale” per i lavoratori del settore pubblico, che rendeva più
facile il trasferimento dei dipendenti in vista del loro licenziamento. Solo un
caso isolato? Solo una noiosissima storia di ricorsi e controricorsi di un
paese alla periferia dell’Europa? Sentite cosa dice al Foglio il
costituzionalista Luciano Violante. “C’è poco da fare. L’Europa di oggi è
arrivata a toccare una terra incognita in cui le istituzioni continentali hanno
fatto dei passi più lunghi della gamba e hanno creato delle zone opache che non
potevano che essere presidiate dai magistrati. In tutta Europa, in effetti, tra
ricorsi alla Corte costituzionale, appelli inoltrati alla Corte di giustizia,
referendum minacciati contro le decisioni della Commissione europea, è presente
un notevole attivismo giudiziario che alle prossime elezioni potrebbe essere
cavalcato dai populisti europei e che ha origine da una rivoluzione culturale
che da anni influenza molta giurisprudenza europea e che in qualche modo è
cominciata ai tempi del processo di Norimberga. Da Norimberga in poi, infatti,
la figura del giudice si è trasformata una sorta di garante non solo della
legge ma anche dei diritti umani e quando si creano cortocircuiti tra le
istituzioni qualche volta capita che i giudici decidano di svolgere un ruolo
simile a quello di un supplente della politica”.
Il caso portoghese e il caso tedesco non sono infatti casi isolati ma si
inseriscono in un contesto ancora più ampio in cui sono coinvolti molti dei
principali paesi finiti sotto l’occhio spietato dei tecnocrati europei. Paesi
come Cipro, per esempio, dove l’associazione nazionale dei giuristi aveva
promesso di avviare una class-action alla Corte europea di Giustizia contro il
prelievo forzoso sui conti correnti imposto la scorsa estate dalla Troika al
governo cipriota (e poi, però, bocciato in Parlamento). Paesi come l’Irlanda
(che nel 2011 ha ricevuto 85 miliardi euro di prestito dalla Troika) dove a
svolgere in un certo senso le funzioni di giudice costituzionale è stato un
referendum che lo scorso quattro ottobre ha respinto la proposta del governo di
abolire la camera alta del Parlamento. E infine, naturalmente, paesi come
l’Italia. Dove non solo esistono giudici che in alcuni casi considerano
legittimo non pagare l’Iva (ricordate la storia dell’imprenditore milanese
assolto per non aver pagato l’Iva a causa della difficile situazione economica
dell’impresa?). Ma dove esiste, anche qui, una Corte costituzionale che
sfidando il governo (e sfidando anche gli estensori della famosa lettera della
Bce) ha bocciato prima la richiesta di privatizzazione dei servizi pubblici
locali (30 agosto 2012), poi il taglio dello stipendio dei dipendenti pubblici
(11 ottobre 2012), infine la famosa e tanto acclamata abolizione delle province
(6 giugno 2013). “Quella che vedremo nei prossimi giorni in Europa – dice al
Foglio l’europarlamentare del Pd Roberto Gualtieri – rappresenta una specie di
via giudiziaria alla sovranità nazionale e in un certo senso i casi tedeschi,
italiani e portoghesi si tengono insieme perché rappresentano episodi in cui,
per varie ragioni, si cerca di proteggere un paese dagli artigli, diciamo così,
dei tecnocrati europei. Qui non si tratta di dare dei giudizi di merito. Si
tratta solo di riconoscere un fenomeno che potrebbe diventare esplosivo. E se i
grandi e piccoli paesi dell’Unione europea non troveranno un modo per
correggere dall’interno delle istituzioni i difetti dell’Europa da qui alle
prossime elezioni europee aspettiamoci pure di ritrovarci una nutrita platea di
elettori indignati pronti a tifare affinché i giudici dei paesi membri si
trasformino sempre di più nelle costole giudiziarie dei populismi europei”.
mercredi, octobre 30, 2013
lundi, octobre 28, 2013
jeudi, octobre 17, 2013
mardi, octobre 15, 2013
La (s)correttezza di Santoro
La (s)correttezza di Santoro
Nella puntata di Servizio
pubblico di giovedì scorso è andata in onda un’intervista a
una giovane di Chioggia che lamentava di essere stata abbandonata dai
servizi sociali del comune. Il padre aveva perso il lavoro per
la crisi, la banca li ha sfrattati perché non pagavano il
mutuo e la famiglia per protesta ha dormito in auto davanti al
comune per alcune notti. A questo link si
può vedere l’intervista (dura meno di 5 minuti).
La notizia data dalla
stampa locale era stata ripresa dai social network e soprattutto dal blog di Beppe
Grillo, che probabilmente è la vera fonte di Michele Santoro.
Il quale ha fatto eco alla vicenda senza effettuare le doverose
verifiche e senza contraddittorio, cioè non ha dato voce al comune di
Chioggia.
Come stanno le cose in
realtà? Il padre della giovane ha dovuto chiudere l’impresa edile perché arrestato nel
2010 – con altre 11 persone – in un’operazione contro il traffico di
cocaina con Spagna e Colombia; è stato in cella per 15 mesi e quindi
ai domiciliari, essendo anche legato al clan dei Madonia di Gela, città di
origine della famiglia emigrata in Veneto nel 2000. Il comune di Chioggia eroga
alla famiglia un sussidio di 307 euro mensili dal 1° settembre
2012 e si è detto disponibile a rimborsare le spese di affitto per un certo
periodo; tuttavia la moglie dell’arrestato ha sempre rifiutato chiedendo
l’assegnazione di un alloggio popolare in deroga alla graduatoria, cioè
scavalcando i 340 nuclei in attesa che ne avevano diritto avendo presentato
regolare domanda.
Una storia drammatica.
Che Servizio pubblico e il blog di Grillo hanno presentato in
modo parziale e scorretto.
dimanche, octobre 13, 2013
L’Africa e la Corte penale internazionale: un rapporto ambiguo
L’Africa e la Corte penale internazionale: un rapporto ambiguo
Si è aperto oggi ad Addis Abeba il summit straordinario dell’Unione Africana dedicato a rivedere i rapporti con la Corte penale internazionale
(Cpi).
È ormai da tempo che stiamo assistendo ad un
drammatico cambiamento nelle relazioni tra i paesi del continente africano e la
Corte dell’Aia. L’iniziale entusiasmo di molti paesi
africani si è trasformato in crescente frustrazione, critiche serrate e, in tempi più
recenti, ad una aperta battaglia contro l’operato della Corte. Ora l’Unione Africana minaccia
addirittura dimissioni di massa, una prospettiva davvero
tragica per la Cpi: basti pensare che dei 54 Stati dell’Unione Africana ben 34 hanno ratificato lo Statuto di Roma, il che
rappresenta oltre un quarto del totale degli Stati membri della Corte (122
attualmente).
Ma quale è il motivo di tanto malcontento?
Detto brevemente, come le parole del ministro degli
esteri etiope che ha aperto il summit di oggi: la Cpi sarebbe divenuta uno “strumento politico”.
Non a caso è il Kenya a guidare la campagna contro la Corte: due processi riguardanti la leadership
politica keniota si trovano al momento in fase di dibattimento all’Aia. Il
primo vede imputato l’attuale presidente Uhuru Kenyatta; il secondo, il suo vice William Ruto. Entrambi sono accusati di crimini contro l’umanità
per avere giocato un ruolo decisivo nelle gravissime violenze post-elettorali
avvenute in Kenya del 2007-2008 (omicidi, stupri e persecuzioni). I processi si
celebrano all’Aia, sebbene il Kenya avesse fatto istanza per il trasferimento
degli stessi sul proprio territorio (ufficialmente per facilitare la presenza
degli imputati) e stanno avanzando a rilento e tra mille difficoltà. In
particolare l’accusa si sta trovando a fronteggiare una vera e propria
emergenza riguardo ai testimoni, molti dei quali si sono ritirati dopo essere
stati pesantemente minacciati nel loro paese. La Procuratrice della Corte,
Fatou Bensouda, lo scorso 11 marzo ha annunciato di avere deciso di chiudere il
procedimento nei confronti del co-imputato del presidente Kenyatta, Francis
Kirimi Muthauara, per sopravvenuta mancanza di prove, poiché i pochi testimoni
sui quali si basava la tesi accusatoria, essendo minacciati, se non addirittura
morti, non sono più in grado di testimoniare.
Il Kenya sta ovviamente facendo di tutto per bloccare
i processi all’Aia, ma non è solo questo caso specifico a rendere i rapporti
tra Stati africani e Corte così tesi.
È da tempo che i paesi africani, e non solo, lamentano
un’eccessiva attenzione della Cpi nei confronti dell’Africa. Si parla ormai in
modo ironico di Corte penale africana, la African Criminal Court, al posto della International Criminal Court.
Innegabilmente, a dieci
anni dall’entrata in funzione della Corte, tutte e otto le situazioni oggetto d’indagine sono relative a
paesi africani:
Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Darfur
(Sudan), Kenya, Libia, Costa d’Avorio e Mali.
Tra queste si trova anche il procedimento nei
confronti del Presidente sudanese Omar Al-Bashir, nei confronti del quale pende un mandato
di arresto dal febbraio del 2007 per crimini contro l’umanità e genocidio ma
che non è mai stato arrestato perché la Corte non è riuscita ad assicurarsi la
cooperazione degli Stati a tal fine. Quanto alle indagini in Uganda, Joseph
Kony e gli altri leader del Lord’s Resistance Army, una milizia che si contrappone alle
forze ugandesi in una sanguinosa guerra che va avanti da oltre venticinque
anni, sono ufficialmente ricercati dalla Corte da ben otto anni. Nei loro
confronti pendono mandati di arresto emessi a luglio del 2005 e che si dubita
verranno mai eseguiti. Il procedimento nei confronti di Saif Gheddafi, il
figlio dell’ex rais libico nei cui confronti pende un mandato di arresto dal
giugno del 2011, è anch’esso bloccato a causa del rifiuto delle autorità
libiche di procedere alla sua consegna all’Aia. Il governo libico è impegnato
in un duro braccio di ferro con la Corte volendo procedere direttamente al
processo di Gheddafi e altri, mentre la Corte ritiene non vi siano sufficienti
garanzie per un processo a livello domestico.
Il fatto è che se, da un lato, la Corte ha
indubbiamente una componente politica nel suo operato,
specie a livello di selezione dei casi (e purtroppo si è mostrata fino
ad oggi forte coi deboli e debole coi forti), gli Stati africani stessi hanno
talvolta fatto un uso politico della Corte.
È vero che in due casi si è trattato di risoluzioni
del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – Darfur e Libia (entrambe, come si è
detto, impantanate) – ma occorre ricordare che la maggior parte dei
procedimenti sotto indagine all’Aia sono stati iniziati proprio da una denuncia degli Stati interessati, che hanno in questo modo attivato la
giurisdizione della Corte chiedendone l’intervento. Perché i paesi africani
hanno fatto questo? In molti casi per tirarsi fuori da situazioni altrimenti
ingestibili a livello interno (come nel caso del Congo o dell’Uganda) o a
seguito di un cambio di regime (come nel caso della Costa d’Avorio).
Il loro atteggiamento oggi appare tuttavia ambiguo. Il genuino interesse degli Stati africani ad una composizione per via
giudiziaria delle loro problematiche interne è quanto meno dubbio.
In attesa di vedere cosa uscirà dal summit in corso,
varie campagne sono state lanciate sui social network per fare pressione sui
rappresentanti degli Stati africani a non boicottare la Corte penale
internazionale: tra queste spicca l’appello lanciato da Desmond Tutu tramite una petizione di Avaaz.
Quel che è certo è che la Cpi è in forte
bisogno di nuova credibilità e di maggiore consenso. L’auspicio è che, comunque
vada, l’iniziativa dell’Unione Africana, serva alla Corte per mettere in
discussione alcune delle politiche che, in particolare l’organo dell’accusa, ha
seguito in questi dieci anni passati e che si sono rivelate devastanti in
termini di credibilità di questa importante istituzione.
mercredi, octobre 09, 2013
Nonni esportati in Polonia, lavori da 450 euro al mese. Le 10 (+1) crepe del modello tedesco
Nonni esportati in Polonia, lavori da 450 euro al mese. Le 10 (+1) crepe del modello tedesco
mardi, octobre 08, 2013
L'Italia? Il Paese più affidabile d'Europa se nel debito finiscono le pensioni. Il rebus del calcolo
L'Italia? Il Paese più affidabile d'Europa se nel debito finiscono le
pensioni. Il rebus del calcolo
Mentre gli Usa sono tecnicamente a rischio default (entro
il 17 ottobre repubblicani e democratici dovranno decidere sull'aumento del
detto al debito) torna alla ribalta il tema della sostenibilità del debito dei
Paesi. Per l'Italia spesso si dice che il tallone d'achille sono quei 2000
miliardi di debito che, rapportati a un Pil calante (ha perso 8 punti dal 2008
ed è sceso sotto 1.600 miliardi) proiettano il rapporto debito/Pil intorno a
quota 130%. Un parametro lontano da quanto previsto da Maastricht (i Paesi
dovrebbero tendere al 60%) e dal Fiscal compact (che impone il pareggio di
bilancio a partire dal 2015).
Resta il fatto che si tratta pur sempre
di parametri e di calcoli che rischiano di non rispettare fedelmente e in modo
ponderato le caratteristiche di un Paese. Se si prova a cambiare punto di vista
si scopre che le cose possono essere profondamente diverse. Ce lo dice la
stessa commissione europea nel Fiscal sustainability
report 2012. Bruxelles ha elaborato un altro parametro, l'indicatore
di sostenibilità S2. Non si ferma al calcolo dell'ammontare del debito ma tiene
anche conto del flusso degli avanzi primari futuri (e l'Italia è maestra in
fatto di avanzi primari dato che è da 10 anni che, non considerando gli
interessi sul debito, è in avanzo), degli interessi attesi e delle spese legate
alla demografia. In parole povere questo indice fa riferimento alla
sostenibilità dei conti pubblici anche in relazione alle spese previste su
pensioni e sanità. E quindi va un po' più in profondita passando dal debito
esplicito a quello implicito (mettendo a budget i costi che verranno).
Quale è il risultato? L'Italia è il
Paese fiscalmente più sostenibile nel lungo periodo fra tutti i Paesi
dell'Unione europea (come si evince da questo grafico). «Solo l'Italia ha una
posizione di bilancio iniziale sufficiente ad assorbire il previsto aumento dei
costi correlati all'età della popolazione», si legge nel documento della
Commissione. Questo «grazie agli sforzi di risanamento degli anni precedenti».
Il paradosso c'è tutto: la Commissione
europea, nel momento in cui va più in profondità ed amplia il concetto di
debito pubblico rispetto a quanto previsto dai trattati di Maastricht e
seguenti, promuove l'Italia. Studi come questi stridono però con politiche di consolidamento fiscale richieste dalla
stessa Europa in fasi di recessione, da cui è scaturito, last but
non least, il recente aumento dell'Iva al 22%.
lundi, octobre 07, 2013
Decadenza, l'Annunziata difende Berlusconi: "Non va espulso dal Senato"
Decadenza,
l'Annunziata difende Berlusconi: "Non va espulso dal Senato"
In un editoriale, la direttrice
dell'Huffingtonpost si mette dalla parate del Cav: "Scusate se lo dico, ma
non si tratta così un grande leader politico"
05/10/2013 libero-quoditiano.it
Lucia Annunziata sta con Silvio Berlusconi: "Un leader politico
come lui non può essere umilitao in questo modo". La difesa d'ufficio
arriva proprio da chi meno te lo aspetti. E l'Annunziata lo sa. Così nel suo
editoriale sull'Huffingtonpost pro-Silvio dal titolo "Non
infierirò su Silvio Berlusconi. Perché non sono una fascista",
L'Annunziata esordisce mettendo le mani avanti: "So che molti di voi,
forse la maggior parte, non sarà d'accordo con quello che sto per scrivere, ma
tant'è". Poi inizia la difesa di Silvio: "Il fascista più fascista di
tutti è a mio parere quella pulsione interiore che ci fa infierire sui nemici
vinti. Credo di non avere bisogno di patenti per dimostrare da che parte sono
stata in questi venti anni, ma davanti alla conclusione giudiziaria e politica
di questo periodo non mi metterò fra chi affonda la lama dell'insulto, della
soddisfazione, e ancor meno della volgarità,contro Silvio Berlusconi. Non
trarrò piacere dalla condanna di nessuno".
"Non va espulso dal Parlamento" - Ma al netto della condanna in Cassazione, la difesa dell'Annunziata è sul fronte politico e soprattutto sul fronte decadenza dopo il voto favorevole della Giunta per le elezioni: "Non mi sento nemmeno gratificata dal fatto che un leader politico che ho sempre considerato nemico della nostra democrazia - per i suoi conflitti di interesse e per il modo con cui ha trasformato la politica immettendovi il peso del denaro - abbia fatto questa fine politica in un modo così infamante. La giustizia ha trionfato ma quando un leader politico fa questo tipo di fine non sta bene l'intero paese".
"Non sono fascista" - Poi il direttore dell'Huffingtonpost esce allo scoperto e sottolinea come sia sbagliato far fuori il Cav dal Parlamento: "Non infierirò sul destino di Berlusconi invece proprio perché non sono per nulla ottimista. Perché - ripeto - un paese i cui leader politici fanno questa fine (condannati per frode ed espulsi dai ranghi del senato) non è un paese che sta bene, comunque. Perché penso che il potere avuto da Silvio Berlusconi è un sintomo di qualcosa di sbagliato di cui tutti, cittadini e non solo politici, abbiamo una corresponsabilità - ed è guardare davvero dentro di noi e dentro questo periodo la via per uscire davvero da venti anni di Guerra civile fredda". Infine la confessione: "Ma soprattutto non infierirò su Silvio Berlusconi, perché non sono un maramaldo, non amo i bulli, non mi piacciono le feste sul corpo degli altri. Non sono una fascista, insomma". Peccato che per vent'anni l'Annunziata abbia "sparato" sul Cav spesso solo con le pallottole del pregiudizio, politico e personale...
"Non va espulso dal Parlamento" - Ma al netto della condanna in Cassazione, la difesa dell'Annunziata è sul fronte politico e soprattutto sul fronte decadenza dopo il voto favorevole della Giunta per le elezioni: "Non mi sento nemmeno gratificata dal fatto che un leader politico che ho sempre considerato nemico della nostra democrazia - per i suoi conflitti di interesse e per il modo con cui ha trasformato la politica immettendovi il peso del denaro - abbia fatto questa fine politica in un modo così infamante. La giustizia ha trionfato ma quando un leader politico fa questo tipo di fine non sta bene l'intero paese".
"Non sono fascista" - Poi il direttore dell'Huffingtonpost esce allo scoperto e sottolinea come sia sbagliato far fuori il Cav dal Parlamento: "Non infierirò sul destino di Berlusconi invece proprio perché non sono per nulla ottimista. Perché - ripeto - un paese i cui leader politici fanno questa fine (condannati per frode ed espulsi dai ranghi del senato) non è un paese che sta bene, comunque. Perché penso che il potere avuto da Silvio Berlusconi è un sintomo di qualcosa di sbagliato di cui tutti, cittadini e non solo politici, abbiamo una corresponsabilità - ed è guardare davvero dentro di noi e dentro questo periodo la via per uscire davvero da venti anni di Guerra civile fredda". Infine la confessione: "Ma soprattutto non infierirò su Silvio Berlusconi, perché non sono un maramaldo, non amo i bulli, non mi piacciono le feste sul corpo degli altri. Non sono una fascista, insomma". Peccato che per vent'anni l'Annunziata abbia "sparato" sul Cav spesso solo con le pallottole del pregiudizio, politico e personale...
samedi, octobre 05, 2013
La sinistra è innocente, purtroppo
La sinistra è innocente, purtroppo
Berlusconi è stato battuto dai democristiani, in nome dello status quo
Va bene, Silvio Berlusconi è finito. E questo l’hanno detto o gridato più o meno tutti. Tutti l’abbiamo visto gonfio di dolore e di rassegnazione dichiarare la sua fiducia all’odiato governo. E la sinistra? La sinistra non l’abbiamo vista. Eppure avrebbe dovuto essere una protagonista degli ultimi giorni di Silvio. Avrebbe dovuto condizionarli, determinarli, almeno controllarli. E con la morte dell’arcinemico avrebbe dovuto acquistare spazio, visibilità, ruolo politico. Invece è scomparsa. E nella grande euforia per la fine dell’impero berlusconiano, nel susseguirsi di colpi di scena e sbigottimenti, nella disperazione di alcuni e nell’entusiasmo di altri nessuno finora se n’è accorto. Nessuno ha notato che non ha avuto alcun protagonismo nell’uccisione del suo grande avversario. Nessuno si è accorto che è rimasta silenziosa e defilata.
Silvio Berlusconi non è stato battuto (alcuni dicono definitivamente, ma staremo a vedere) da coloro che sulla carta avrebbero dovuto essere i suoi maggiori nemici,gli oppositori della sua politica e delle sue proposte ma da una linea moderata e perbenista. Da coloro che non perdono occasione di inneggiare al rapporto corretto con le istituzioni (se poi non funzionano chi se frega), che vogliono una forte distinzione fra vita pubblica e vita privata (se poi in questa si commette qualche nefandezza, ancora chi se ne frega) che accomunano abilmente il cosiddetto bene del paese al loro rapporto con il potere. Silvio Berlusconi è stato battuto dalla affermazione di una cultura pervasiva e di un pensiero unico e dilagante le cui parole d’ordine sono stabilità e responsabilità, che certo hanno poco a che fare con lui, con la sua storia e il suo passato, ma – chiediamoci – quanto hanno a che fare con una proposta e una cultura di sinistra?
Meno che niente. Il Cavaliere che aveva tanta paura del fantasma dei comunisti, che nelle sue fantasie e nella sua propaganda non erano mai morti, è stato fatto fuori invece da una risorta Democrazia cristiana. Da un fantasma che è tornato sia pure sotto spoglie diverse. Certo non è più una balena. Forse con i pesci vari che lo compongono si potrebbe fare un fritto misto. Ma appare guizzante e in forma . E’ proprio un caso che tutti o quasi i protagonisti della vicenda politica che ha portato alla sconfitta di Berlusconi provengano dalle file della Dc? Enrico Letta e Angelino Alfano. E poi Franceschini, Formigoni, Giovanardi. Certo c’è stato il soccorso di qualche ex socialista come Sacconi e Cicchitto. Proprio come ai bei tempi precedenti gli anni Novanta.
Ma allora negli anni Novanta la sinistra c’era. Scombiccherata, pronta a mettere in azione una macchina da guerra senza accorgersi che era già a pezzi, sotto choc per il crollo del regime sovietico. Ma c’era. Oggi in tutte le sue componenti più meno moderate, più o meno estremiste, ha fatto fare ad altri, si è dileguata, si è nascosta. Ha evitato ogni parola, ogni discorso, ogni dichiarazione che potesse dare alla crisi del berlusconismo una connotazione che non fosse di moderatismo democristiano. Si è accodata alla parola d’ordine della stabilità che è diventata indistintamente di tutti coloro che volevano la resa berlusconiana. Trasformazione, innovazione, miglioramento, cambiamento, riforma, tutte quelle parole che dovrebbero far parte del suo vocabolario sono state prudentemente messe da parte. Sparite dal linguaggio della politica. Dimenticate. Berlusconi è stato battuto in nome dello status quo, del “meglio non muoversi”. Lui che voleva tornare al ’94 è stato ghermito da un mostro più antico, dall’immobilismo dei moderati. E la sinistra è stata soffocata con lui. Con una differenza: Berlusconi e i berlusconiani fino all’ultimo momento della battaglia sono stati capaci di usare l’arma della tattica, quella per cui si cercano alleanze, si fanno compromessi e se la sconfitta è inevitabile si cerca quella meno cocente.
La sinistra nel Pd, i vecchi Ds per intenderci, ai quali da un pezzo non si chiede una strategia, in queste ultime vicende hanno dimostrato di aver perduto anche la capacità di agire una tattica, di esercitare questa antica arma della cultura dei loro padri. Non hanno neppure fatto finta di esserci, di contare. Quieta non movere è stato il loro slogan, tutto fermo per non danneggiare un governo. O meglio l’apparenza di un governo. Perché si sa che quello effettivo non sta a palazzo Chigi.
mercredi, octobre 02, 2013
Al Cav processo sprint ma sui veri evasori non indagano neppure
Al Cav processo sprint ma
sui veri evasori non indagano neppure
A Milano la Procura generale esautora i pm su sette
fascicoli destinati all'archiviazione. Bacchettata al pool: non avete fatto il
vostro lavoro
Luca Fazzo - Mer, 02/10/2013 - 08:33 ilgiornale.it
La Procura generale ha riflettuto a lungo, prima di prendere di petto la
questione: consapevole di muoversi su un terreno minato, dove è forte il
rischio di dare ragione nei fatti a chi accusa i pm milanesi di usare due pesi,
due misure, due velocità quando si tratta di Berlusconi o di imputati
qualunque.
Ma alla fine il pg Manlio Minale e il suo vice, l'avvocato generale
Laura Bertolè Viale (che pure ha sostenuto l'accusa nel processo al Cavaliere
per i diritti tv) si sono resi conto di non avere altra scelta. Il codice
penale prevede che, quando una Procura non fa il suo dovere, tocchi alla
Procura generale intervenire per rimettere le cose a posto. E in questi sette
casi c'era un dato costante: per sette volte un giudice preliminare, Vincenzo
Salemme, aveva restituito al mittente le richieste di archiviazione firmate dal
capo del pool reati finanziari, il procuratore aggiunto Francesco Greco. In
quei sette casi, sosteneva Salemme, le indagini non erano state nemmeno fatte.
Come è stato possibile? In Procura si fa presente che sette inchieste sono poco più dell'uno per cento delle seimila notizie di reato che ogni anno vengono gestite dal pool reati finanziari; che le somme recuperate in questi anni grazie alle indagini sono straordinariamente ingenti; che la grande maggioranza delle inchieste viene portata a conclusione in meno di un anno; e che le richieste di archiviazione, spesso successive al risarcimento del danno, vengono regolarmente accolte dai giudici preliminari. Da tutti, tranne che da uno: il dottor Salemme, che bocciando le archiviazioni chieste dalla Procura ha innescato il caso. Così sono scattate le controinchieste. Tutte affidate a Carmen Manfredda, sostituto procuratore generale, un mastino dell'epoca del terrorismo e dei sequestri. Che è partita a testa bassa, incaricando la polizia giudiziaria di fare le indagini che i suoi colleghi del piano di sopra avevano ritenuto inutili.
«Non sono casi di insabbiamento ma semplici differenze di valutazione tra noi e un singolo giudice»: questa è, in sostanza, la linea su cui si attesta la linea della Procura della Repubblica ieri quando, dopo settimane di voci sempre più insistenti, la notizia prende forma compiuta e trova conferme. La sostanza qual è? Francesco Greco ha un curriculum - da Enimont a Antonveneta passando per Parmalat - che rende difficile considerarlo un insabbiatore. Ma che non a tutte le indagini a Milano si dedichino le risorse e la convinzione con cui si indaga su Berlusconi è un sospetto che già prima d'oggi erano in diversi a nutrire. E l'iniziativa della Procura generale suona come una autorevole conferma.
Come è stato possibile? In Procura si fa presente che sette inchieste sono poco più dell'uno per cento delle seimila notizie di reato che ogni anno vengono gestite dal pool reati finanziari; che le somme recuperate in questi anni grazie alle indagini sono straordinariamente ingenti; che la grande maggioranza delle inchieste viene portata a conclusione in meno di un anno; e che le richieste di archiviazione, spesso successive al risarcimento del danno, vengono regolarmente accolte dai giudici preliminari. Da tutti, tranne che da uno: il dottor Salemme, che bocciando le archiviazioni chieste dalla Procura ha innescato il caso. Così sono scattate le controinchieste. Tutte affidate a Carmen Manfredda, sostituto procuratore generale, un mastino dell'epoca del terrorismo e dei sequestri. Che è partita a testa bassa, incaricando la polizia giudiziaria di fare le indagini che i suoi colleghi del piano di sopra avevano ritenuto inutili.
«Non sono casi di insabbiamento ma semplici differenze di valutazione tra noi e un singolo giudice»: questa è, in sostanza, la linea su cui si attesta la linea della Procura della Repubblica ieri quando, dopo settimane di voci sempre più insistenti, la notizia prende forma compiuta e trova conferme. La sostanza qual è? Francesco Greco ha un curriculum - da Enimont a Antonveneta passando per Parmalat - che rende difficile considerarlo un insabbiatore. Ma che non a tutte le indagini a Milano si dedichino le risorse e la convinzione con cui si indaga su Berlusconi è un sospetto che già prima d'oggi erano in diversi a nutrire. E l'iniziativa della Procura generale suona come una autorevole conferma.
mardi, octobre 01, 2013
Un'intervista di Giovanni Minoli a Steve Pieczenik su Radio 24 riapre il caso Moro
Un'intervista di Giovanni Minoli a Steve Pieczenik su Radio 24 riapre il caso Moro
Élite locali e clientelismo selvaggio. Il (brutto) volto del federalismo
Élite
locali e clientelismo selvaggio. Il (brutto) volto del federalismo
Un'immagine dell'Italia attraverso le intercettazioni dell'ex
governatrice Maria Rita Lorenzetti.
Ernesto Galli Della Loggia Corriere.it 20131001
Che
cosa sono diventate, all'ombra del federalismo dispiegato, le classi politiche
locali che governano le regioni italiane? Che tipo di donne e uomini sono, qual
è la loro carriera? E che cos'è il potere locale, il microcosmo delle sue
relazioni? Uno squarcio dietro le quinte su tutto questo gli italiani lo hanno
potuto avere, nei giorni scorsi grazie alle intercettazioni disposte a carico
di Maria Rita Lorenzetti, ora imputata dalla Procura di Firenze di associazione
per delinquere finalizzata alla corruzione e abuso d'ufficio nella sua qualità
di presidente della Italferr, una società delle Ferrovie dello Stato. Carica
ottenuta dalla Lorenzetti non già per qualche sua competenza o capacità
particolare, ma semplicemente perché membro dell'alta nomenclatura del Partito
democratico - a 22 anni assessore a Foligno, a 31 sindaco, a 35 deputata per quattro
legislature, presidente della commissione per i Lavori pubblici della Camera,
sottosegretaria e infine, dal 2000 al 2010, governatrice dell'Umbria - per
giunta notoriamente sotto l'alto patronato di un Lord Protettore del calibro di
Massimo D'Alema, al quale, pare, neppure il coriaceo ingegner Moretti se la
sente di negare nulla durante le cene da Vissani - e pertanto avente diritto
vita natural durante a un appannaggio della lottizzazione.
La
spregiudicatezza, la consuetudine con l'arbitrio, la ricerca di una familiarità compiacente con chi
è un gradino più su di lei (per esempio la senatrice Finocchiaro, ahimè sua
grande amica, si direbbe) e viceversa il disprezzo arrogante per chi non si
piega («stronzo», «terrorista», «bastardo», «mascalzone», sono gli epiteti di
cui gratifica l'architetto della Regione Toscana, Fabio Zita, colpevole di
opporsi alle sue presunte malefatte, ma che il solerte governatore della stessa
Regione, Enrico Rossi, anche lui del Pd, provvederà obbedientemente a rimuovere
subito): molte di queste cose sono agli atti e su di esse giudicherà la
magistratura.
Ma è nell'Umbria natìa - dove ha governato guadagnandosi il titolo di «zarina» - che a suo modo la Lorenzetti continua a dare il meglio di sé. È lì che debitamente intercettata ci mostra che cosa è il potere locale e, diciamo pure, che cosa è l'Italia delle cento città e delle sue élite urbane. Sul versante del potere politico, l'impressione è quella di un'oligarchia plebea assurta agli agi e alle opportunità del potere senza avere la minima educazione o cultura necessarie per non restarne ebbra. Sul versante dei notabili locali, si assiste invece allo spettacolo di un'accondiscendenza servile verso la politica. S'indovina in complesso una società legata a filo doppio alla politica locale in un intreccio e uno scambio continuo, pronta a dire sempre di sì, sicura di ottenere domani in cambio qualcosa. L'occasione della telefonata è miserabile ma significativa: una raccomandazione che la Lorenzetti chiede al rettore dell'Università (per il tramite di una professoressa sua ex assessore, naturalmente del Pd anche lei): nientedimeno che per far promuovere a un esame di medicina uno studente figlio di un «compagno». Come sempre l'elemento più rivelatore è il linguaggio. La prof alla Lorenzetti: «Ho capito, ha bisogno di non essere fermato ingiustamente, diciamo così per qualche finezza accademica» (chi parla, si ricordi, è una docente universitaria...); Lorenzetti: «Ecco hai capito perfettamente Gaia mia. Noi siamo concrete e pratiche senza tante seghe»; la prof (a raccomandazione inoltrata): «Il rettore si è prosternato perché gli ho detto da chi viene: a disposizione!» (ride); la Lorenzetti (a cose fatte): «Sei grande»; la prof: «Come si dice, a noi chi ci ammazza?»; l'altra, più tardi: «Grazie pischella mia. Noi della vecchia guardia siamo sempre dalla parte del più debole» (leggi: di chi ha in tasca la tessera del suo partito).
Ma è nell'Umbria natìa - dove ha governato guadagnandosi il titolo di «zarina» - che a suo modo la Lorenzetti continua a dare il meglio di sé. È lì che debitamente intercettata ci mostra che cosa è il potere locale e, diciamo pure, che cosa è l'Italia delle cento città e delle sue élite urbane. Sul versante del potere politico, l'impressione è quella di un'oligarchia plebea assurta agli agi e alle opportunità del potere senza avere la minima educazione o cultura necessarie per non restarne ebbra. Sul versante dei notabili locali, si assiste invece allo spettacolo di un'accondiscendenza servile verso la politica. S'indovina in complesso una società legata a filo doppio alla politica locale in un intreccio e uno scambio continuo, pronta a dire sempre di sì, sicura di ottenere domani in cambio qualcosa. L'occasione della telefonata è miserabile ma significativa: una raccomandazione che la Lorenzetti chiede al rettore dell'Università (per il tramite di una professoressa sua ex assessore, naturalmente del Pd anche lei): nientedimeno che per far promuovere a un esame di medicina uno studente figlio di un «compagno». Come sempre l'elemento più rivelatore è il linguaggio. La prof alla Lorenzetti: «Ho capito, ha bisogno di non essere fermato ingiustamente, diciamo così per qualche finezza accademica» (chi parla, si ricordi, è una docente universitaria...); Lorenzetti: «Ecco hai capito perfettamente Gaia mia. Noi siamo concrete e pratiche senza tante seghe»; la prof (a raccomandazione inoltrata): «Il rettore si è prosternato perché gli ho detto da chi viene: a disposizione!» (ride); la Lorenzetti (a cose fatte): «Sei grande»; la prof: «Come si dice, a noi chi ci ammazza?»; l'altra, più tardi: «Grazie pischella mia. Noi della vecchia guardia siamo sempre dalla parte del più debole» (leggi: di chi ha in tasca la tessera del suo partito).
In
quanti casi, mi chiedo, il localismo italiano è questa roba qui? Certo, ogni luogo è diverso e
ogni persona fa storia a sé. Certo, l'Umbria è una piccola regione che non ha
mai conosciuto altro governo che quello della sinistra: dominata da
sessant'anni da un blocco egemonico al cui centro c'è un vasto circuito
massonico che fa da ponte e integra a meraviglia il ferreo potere
amministrativo-clientelare del Pd da un lato, e gli interessi del notabilato
economico-professionale dall'altro. Risultandone la virtuale assenza di
qualunque opposizione e una straordinaria situazione d'immobilismo sociale e di
stagnazione culturale. L'Umbria, dicevo, rappresenta queste specificità, ma
pare di capire che anche in altre vaste parti della Penisola la qualità delle
élite politiche locali stia conoscendo da tempo un progressivo scadimento,
dando luogo ad altrettante «belle squadre», all'opera, più o meno, sul modello
che suscita il compiacimento della Lorenzetti.
Parecchi fattori spingono in questa direzione negativa: la disintegrazione degli apparati centrali dei partiti insieme al venir meno di ogni loro reale funzione di indirizzo e di controllo: sicché quel che resta dei partiti è ormai solo una serie di autonomi potentati locali; il rafforzamento che ciò ha prodotto dell'antica, inestirpabile tradizione oligarchica a base di famiglie, clan, conventicole, vera anima e peste della dimensione locale italiana, generalmente sempre peggiore di quella nazionale; la sempre maggiore diserzione dalla cosa pubblica, locale in specie, di personalità indipendenti non impegnate a costruirsi una propria, personale, carriera politica; e infine l'aumento di competenze e di risorse piovute a livello locale per effetto dell'allargamento dei poteri specie dell'ente regionale, le quali, soprattutto in tempo di crisi, hanno accresciuto di molto l'influenza di quest'ultimo. Nel nostro Paese, in un gran numero di casi è fatto di queste cose qui, consiste in questo ormai il tanto decantato federalismo: è l'ennesimo capitolo di quell'autentico cimitero delle illusioni che sta diventando l'Italia.
Parecchi fattori spingono in questa direzione negativa: la disintegrazione degli apparati centrali dei partiti insieme al venir meno di ogni loro reale funzione di indirizzo e di controllo: sicché quel che resta dei partiti è ormai solo una serie di autonomi potentati locali; il rafforzamento che ciò ha prodotto dell'antica, inestirpabile tradizione oligarchica a base di famiglie, clan, conventicole, vera anima e peste della dimensione locale italiana, generalmente sempre peggiore di quella nazionale; la sempre maggiore diserzione dalla cosa pubblica, locale in specie, di personalità indipendenti non impegnate a costruirsi una propria, personale, carriera politica; e infine l'aumento di competenze e di risorse piovute a livello locale per effetto dell'allargamento dei poteri specie dell'ente regionale, le quali, soprattutto in tempo di crisi, hanno accresciuto di molto l'influenza di quest'ultimo. Nel nostro Paese, in un gran numero di casi è fatto di queste cose qui, consiste in questo ormai il tanto decantato federalismo: è l'ennesimo capitolo di quell'autentico cimitero delle illusioni che sta diventando l'Italia.
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