lundi, janvier 03, 2011

Carla Bruni in ceppi per umanitarismo

Carla Bruni in ceppi per umanitarismo - [ Il Foglio.it › La giornata ]

Carla Bruni in ceppi per umanitarismo


di Annalena Bernini   ilfoglio.it    20110103

La signora Sarkozy è stata arrestata dalla Polizia fogliante con l’accusa di sfoggio di opere pie. La difesa dice che è tutta una finzione: la first lady, come la Garbo, ama soltanto se stessa

Quando la polizia fece irruzione nell’appartamento, Carla Bruni era in uno dei saloni, seduta sul parquet con la chitarra in grembo. Addosso solo una camicia bianca, cantava a piedi nudi (fuori li copre perché sono troppo lunghi): “Quelqu’un m’a dit”, in una mano la sigaretta e lo sguardo verso le finestre incorniciate da stucchi, nel sedicesimo arrondissement (casa con i libri gettati con precisione per terra, a simulare un disordine cerebrale; abita in quattrocentocinquanta metri quadrati, completi di cuoca, giardiniere, governante, donna delle pulizie, e non ha quindi la smania di passare le notti all’Eliseo). Carla smise di suonare, alzò su di loro il famoso sguardo che ha ispirato “Chucky, la bambola assassina”, e aspirò una lunga boccata di fumo dalla sigaretta sottile. I cinque Poliziotti del Pensiero ebbero un attimo di esitazione, un turbamento cognitivo: si può arrestare una donna così sontuosamente bella, con la voce così roca, così cattiva, solo perché sembra essere diventata troppo manifestamente umanitaria, troppo immersa nello sfoggio di sempre nuove buone azioni? “Basta guardarla negli occhi da husky per capire che della Birmania e dei summit sul terzo mondo le importa un po’ meno che dei suoi zigomi, sempre più alti, sempre più sporgenti”, pensò un ragazzo con la divisa, che in casa tiene i ritagli dei favolosi anni Novanta, quelli in cui Carla era la più bella e frivola donna del mondo, sempre nuda e con un unico principio umanitario: “Io non faccio mai nudo a peli”.

Ma il mandato di cattura parlava chiaro: condurre in ceppi e in catene la prima dama della Croce Rossa, l’Ambasciatrice di tutte le giuste cause, la ragazza delle Fondazioni caritatevoli che iper racconta ed esibisce la propria bontà. Come scrisse una volta De André riguardo a Boccadirosa, “spesso gli sbirri e i carabinieri al proprio dovere vengono meno ma non quando sono in alta uniforme, e l’accompagnarono al primo treno”. Nel caso di Carla, l’accompagnarono al commissariato (le diedero solo il tempo di infilarsi un paio di jeans, che lei indossò con maestria dietro una porta lasciata socchiusa) per rispondere delle gravi accuse di umanitarismo sovraesposto, irritante, reiterato, sbandierato e molesto, per contestarle lettere accorate scritte a tutti i presidenti della terra e gli spot anti Aids con lo sguardo contrito, le foto con i bambini africani, le amicizie con i barboni davanti alle telecamere (“sedersi a parlare con loro, tenere loro la mano, stabilire un rapporto umano anche quando sono completamente ubriachi, è questo l’aspetto più poetico”, raccontava in una delle migliaia di interviste egotiche sulla propria generosa empatia, con filmino di Carla vestita da operatore sociale che stringe le mani a un senzatetto), le borse di Roger Vivier ispirate a lei e vendute per ripianare il debito dei paesi poveri, la frase oramai ripetuta ossessivamente: “Ben venga il mio ruolo, perché offre visibilità alle cause per cui mi batto”. Secondo un recentissimo sondaggio francese, Carla Bruni è “la più irritante del 2010”, mentre Sarkozy è soltanto quarto, e il quotidiano Le Parisien ha scritto: “Carla Bruni, con la sua costante presenza sui media, mette a dura prova i nervi della gente”. Capite dunque che la Polizia del Pensiero doveva fare il proprio dovere e garantire la serenità natalizia dei cittadini, tutelarli dalle cantilene umanitarie della first lady, preservarli dal prossimo annuncio alla nazione, difenderli dallo sfoggio costante di compassionevolismo caviar. Davanti all’ordine costituito, comunque, Carla Bruni si è tolta la maschera da Madre Teresa e ha gridato: “Come osate, miserabile gentaglia delle banlieue, poveracci con un solo cognome e nessuna cultura: mio marito vi farà deportare, i miei ex amanti vi faranno decapitare, mia madre darà i vostri cadaveri in pasto ai cani” (la frase verrà utilizzata nella concessione delle attenuanti, come segno di pentimento e ritrovata ironia). Poi Carla ha chiesto un piegaciglia, sigarette leggere e una chitarra. Niente trucchi perché “dopo i 22 anni bisogna essere molto stupide per mettersi del trucco sulla faccia: il trucco invecchia”.

Nicolas Sarkozy, presidente in disgrazia e uomo molto innamorato, insospettabile di esagerati umanitarismi, ha convocato i migliori avvocati di Francia. Ha scelto soltanto quelli non charmant, poiché dovranno passare lungo tempo con Carla, la quale ha dichiarato, nell’ultimo sfacciatamente elegiaco documentario dedicatole da France 2, di non lasciarsi “mai sfuggire nessuna occasione: voglio fare più cose possibile, errori compresi”. In quel film, più delle dichiarazioni della first lady, più dei bacetti che dava a Nicolas per calmarlo prima di un incontro importante, più del fatto che lui non beve mai vino perché se lo bevesse perderebbe subito il controllo, era strabiliante la volontà televisiva di santificarla, e sottolineare con fuochi d’artificio ogni messa cantata sull’importanza dell’umanitarismo danzante e sul carisma del marito; se in Italia possedessimo una first lady, e un giornalista la seguisse per un anno con una videocamera per raccontarne non le debolezze e le dita nel naso ma la serietà, l’altruismo, l’abnegazione matrimoniale e l’eroismo del premier, e questa agiografia andasse in onda sulla Rai, dopo un secondo si farebbe la rivoluzione con i carrarmati contro il regime sovietico e contro la televisione bavaglio.

Questa volta, grazie all’autorità della Polizia del Pensiero, l’intero canale France 2 verrà sospeso per manifesta complicità in buone azioni ostentate, visto che Carla Bruni ha parlato soprattutto di opere pie e ha ripetuto il proprio robotico mantra: “Le first lady devono impegnarsi in cause umanitarie, il dovere è l’essenza della mia vita”– tranne quando ha detto: “Non posso aderire a mio marito in tutto e per tutto, lo troverei ridicolo: del resto lui non si trasformerà mai in un cantante folk anche se ha sposato me”, che essendo una buona battuta è stata messa a verbale dagli avvocati difensori. Sarkozy, distrutto, ha fatto una sola disperata richiesta: “Vi prego, caro Bernard-Henri Lévy, caro Frédéric Mitterrand, cara Fred Vargas, cari Jean-Luc Godard, Mathieu Amalric, Xavier Beauvois, Agnès Varda, Bertrand Tavernier, Olivier Assayas, Jean-Paul Enthoven, anche Michel Houellebecq che non si sa mai, Simone Veil, Daniel Cohn-Bendit e tutti gli altri spettinati pensatori francesi, non fate nessun appello per Carla su Libération, cercate di resistere, al massimo riunitevi fra voi al Café Flore, vestitevi di nero come al solito, ma vi chiedo di non impegnarvi, per amor del cielo, in una battaglia per la libertà di umanitarismo” (sempre lo stesso sondaggio francese sull’antipatia ha proclamato Bernard-Henri Lévy e la moglie Arielle Dombasle la coppia più odiosa di Francia, e questa non è fiction). Sarkozy ha promesso alla suocera che tirerà fuori dal carcere Carla prima che canti il gallo che annuncia la necessità di nuovo botox (il premier è anche segretamente preoccupato per le parentele in carcere di Rachida Dati, che potrebbe volersi vendicare delle angherie subite da Carla commissionando qualche tragico incidente di cella).

A Carla non sono stati concessi i domiciliari, perché si ritiene che ci sia il fondato pericolo di reiterazione delle attività caritatevoli: è più forte di lei, appena trova una penna scrive un appello, appena vede una telecamera ci si piazza davanti per parlare di piaghe sociali e di Burkina Faso o per autocompiacersi di qualche fondazione umanitaria. Con tutta quella buona volontà ha quasi ucciso Sakineh e Aung San Suu Kyi, e l’Africa non se la passa granché bene. Gli avvocati hanno scelto una precisa linea di difesa: dimostreranno che è stata tutta una finzione, che la bontà ossessiva e sfoggiata è solo l’ultimo dei travestimenti, imposto dallo status di prima signora di Francia (puntano a far ricadere la colpa sulle first lady precedenti: Bernadette Chirac e Danielle Mitterrand) e proveranno che Carla Bruni è in realtà fatua, libertina e vendicativa come sempre, maltratta gli uomini (che comunque se lo meritano) e le donne (a cui ha rubato, negli anni, quantità notevoli di mariti e fidanzati), soffre per l’impossibilità di indossare veri tacchi nelle occasioni ufficiali e quindi detesta tutte le omologhe che hanno mariti alti, si concentra affinché inciampino durante il tragitto e, come Greta Garbo, ama solo se stessa, e nemmeno tanto. Carla purtroppo ha deciso di non parlare a propria discolpa, perché teme che i movimenti facciali accelerino il crollo dei tessuti, e questo sacrificio in nome della bellezza è stato acquisito dalla difesa come prova a favore, insieme al fatto che non ha mai rivolto la parola alle altre detenute, non si è minimamente interessata alle loro disgrazie e anzi ha chiesto del disinfettante, come nelle vecchie parodie di Fiorello.

Per provare il suo distacco dalle esibizioni di umanitarismo e rettitudine, bisogna tornare indietro nel tempo, dieci anni fa, quando, seduta al Flore, raccontava a Claudio Sabelli Fioretti: “Non ho mai capito perché siamo obbligati ad accoppiarci con una sola persona alla volta, in questa vita piccolina che viviamo e che scivola via veloce. La fedeltà non mi viene nemmeno in mente”. Una così non ha troppo tempo per l’umanità, oltre a quella fetta di umanità maschile a cui ha deciso di dire: “Ciao sono Carla, non sono fedele, non essere fedele con me perché me ne frego” (op. cit.). Fu quella una delle più belle interviste sulla stronzaggine siderale che essere umano ricordi. “Innamorato attuale?”, le chiese Sabelli. “Ne ho molti. Sarebbe difficile elencarli. Non vorrei fare torto a nessuno. Io sono per la poligamia”. Questa nuova santarellina botulinata, che dice: “Tutto quello che faccio, lo faccio per Nicolas”, non può essere Carla. Questa signora che perde luce in battute su Silvio Berlusconi e sull’Italia, invece di ricordare i bei tempi di Mick Jagger, Kevin Costner, Vincent Pérez, Donald Trump, Eric Clapton, Arno Klarsfeld, sta chiaramente recitando una parte. Da quando è diventata una dama di carità le si sono assottigliati ancora di più gli occhi, segno che non è a suo agio, dicono gli avvocati. E nell’agiografia di France 2 le è sfuggito un momento di sincerità: “Non mi dispiacerà quando tutto questo sarà finito”. Carla Bruni non è adatta ai balli della Croce Rossa, dovrebbe piuttosto passare il Capodanno su una spiaggia di Rio de Janeiro. “Io non ho intenzione di prendermi sul serio, sarebbe troppo triste”, disse al giornalista che le stava spargendo petali di rosa intorno, ed è questa la chiave della difesa: Carla è un saltimbanco, uno Zelig e una perfezionista. Sta quindi semplicemente interpretando alla grande il ruolo di Première dame assegnatole, e nel gioco della competizione vorrebbe essere ricordata almeno come la Lady D dei francesi (evitando accuratamente le gallerie).

Cos’aveva Diana più di lei? Le mine antiuomo? E allora lei si fa minacciare di morte dagli iraniani per chiedere la liberazione di Sakineh. Cosa faceva Diana meglio di lei? Le confessioni televisive di infelicità coniugale? E allora Carla va in India con il marito e la madre (anche lei da incarcerare per esagerato suocerismo, la prossima volta), per il viaggio vengono utilizzati tre aerei perché la beneficenza a se stessi è una voce del capitolo: spese necessarie, e nel tempio di un santo sufi la first lady chiede, sommessamente ma con gli altoparlanti universali, che le venga concesso un secondo figlio. Di quella visita in India si ricorderà soprattutto la foto dei due coniugi con i piedi infilati in pantofole nere di carta per entrare al tempio: senza più protesi interne, rialzi a scomparsa, scarpe magiche, talloni di silicone, era molto evidente la sproporzione d’altezza fra i due, cioè la causa dei mortificanti mezzi tacchi di Carla. Anche di questo la giuria dovrebbe tenere conto nel verdetto, cioè delle gravi pressioni psicologiche ed estetiche che hanno condotto Terminator (come è conosciuta a Parigi e come l’ha definita Justine Lévy in “Niente di grave”, dopo che Carla le ha soffiato il marito con il vecchio trucco del: mi spalmeresti la crema solare sulla schiena?, e ha commentato: “La ex moglie del mio compagno mi ha fatto passare per una ladra di mariti. Tutti sanno che i mariti non si possono rubare, è questione di essere capaci a tenerseli”. Poi, quando si è stancata anche di lui, gli ha comprato una casa nel quattordicesimo arrondissement, gli ha dato le chiavi e l’ha lasciato, chiedendogli di restare amici) a trasformarsi temporaneamente in Compassionevole Esagitata Santarellina. Esigenze sceniche, membri della giuria: ci si rifà la faccia in occasione di un cenone di Capodanno, Carla in occasione della legislatura si è rifatta anche un’anima da crocerossina ciarliera.

Ma non sempre i travestimenti risultano adatti: in un’intervista a Radio DeeJay Carla raccontava di avere lavorato per tutti gli stilisti, di essersi sempre molto divertita e di avere indossato qualunque cosa, anche il nudo, tranne l’abito da sposa. “Forse perché non sembro vergine”, ha commentato con voce roca, mentre i conduttori, liquefatti, svenivano. Non sembra vergine come non sembra una manifesta umanitarista, e forse allora se la caverà anche stavolta e ritroverà la libertà. E poi c’è il figlio Aurelien che l’aspetta, la sorella Valeria che ha adottato una bambina, il film di Woody Allen che deve uscire, il nuovo disco da fare, un marito bisognoso di baci e quel dannato botox che dà dipendenza. Se le prove del non reale umanitarismo di Carla non sembrano sufficienti ad assolverla, ci si appella alla clemenza della Corte: Terminator è l’opposto di un documentario sulla mercificazione del corpo femminile, è il contrario ontologico della contrizione rivendicativa sullo stato della donna. Molto prima dell’umanitarismo, Carla Bruni ha sfoggiato il proprio corpo con sfarzo, ha usato gli uomini per divertimento e non si è mai fatta sfuggire un lamento o una denuncia di maschilismo (“Con gli uomini sono sempre stata io a fare il primo passo. Anche nel lavoro ho sempre fatto io il primo passo: non sono una che attira i pigmalioni, ma sono il pigmalione di me stessa”). Ha usato il potere della bellezza, della seduzione e dell’intelligenza per vivere come voleva e se ne è sempre fregata dell’ira funesta delle cagnette a cui aveva sottratto l’osso, direbbe qualcuno. “Bisogna saper dare, ma anche riprendersi”, è una delle frasi preferite di Carla Bruni, sempre in cerca di uno slogan su se stessa.

Insomma, signori della Corte, membri della giuria, liberate Carla Bruni per Capodanno, a patto che: a) sfoghi il suo umanitarismo con discrezione e se è improbabile che non sappia la sua mano destra cosa fa la sinistra, almeno che tutto il pianeta non sia costretto a sorbirsi il sermone della bontà; b) prometta di fermare la mutazione del volto; c) stia lontana dai mariti delle altre, a meno che siano le altre a chiamarla in soccorso: “A Ca’, vieni a pigliarti mio marito ti prego, non ce la faccio più”, potrebbe essere l’inizio di un nuovo proficuo umanitarismo, l’aiuto nella lotta per la liberazione coniugale. Anche se l’altra sera, mentre guardavo su Sky il documentario su Carla Bruni e lei spiegava la sua visione politica del mondo, mio marito si è indignato: “Ma cosa dice? Ma perché parla? E’ anche diventata brutta (traduzione edulcorata da vivace linguaggio casalingo), ma cosa vuole?”, e a quel punto ho deciso di difenderla. Membre della Giuria, è a voi che parlo adesso: se di Carla Bruni a quarantadue anni dicono che è un mostro, a noi cosa faranno? Liberiamola, dimostriamole qual è la faccia davvero umanitaria del pianeta.


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