vendredi, décembre 17, 2010

Una giustizia con tempi schizofrenici

Il Riformista
Una giustizia con tempi schizofrenici

di redazione     ilriformista.it      20101217


Nessuno per il quale non esistano prove di colpevolezza in galera. Nessun presunto innocente in galera in attesa di giudizio tranne che ricorrano timori di fuga, possibilità di inquinare le prove o di reiterazione del reato. Sappiamo che spesso la giustizia italiana ha disatteso anche in modo clamoroso questi principi. Dopo la scarcerazione di 22 dei 23 arrestati per la devastazione del centro di Roma il sospetto di schizofrenia s’insinua.
Ci si chiede infatti: una persona che rientra dall’estero e si consegna spontaneamente ai magistrati, dimostra la sua presente estraneità al management delle aziende che guidava ai tempi in cui si sarebbe consumato il reato (2004-2007), rendendo evidente l’impossibilità di reiterarlo e di inquinare prove che sono raccolte da anni, deve scontare dieci mesi di arresti cautelari (e non sono ancora finiti)? Tale è la situazione di Silvio Scaglia.
Seconda domanda: chi viene arrestato durante disordini di piazza, si presume in flagranza di reato, a quarantotto ore dai fatti non ha già più la possibilità di inquinare le prove o di reiterare il reato? Sapendo oltretutto che tra cinque giorni l’occasione (un nuovo corteo contro l’approvazione del decreto Gelmini nel giorno della sua discussione al Senato, mercoledì 22 dicembre) per eventualmente reiterarlo, il reato, gli viene offerta su un piatto d’argento?
Sicuramente i giudici hanno valutato, come vuole il concetto stesso di giustizia: unicuique suum, ogni singola situazione. E ogni singolo caso è diverso. A tutti e ventitré gli arrestati è stato convalidato l’arresto. A uno sono stati concessi gli arresti domiciliari, tutti gli altri sono stati liberati. Sei di loro, tra cui l’unico ancora agli arresti, dovranno presentarsi davanti al giudice il 23 dicembre prossimo. Era così impensabile affidare anche gli altri cinque alle cure delle loro premurose famiglie per cinque giorni, vietandogli di uscire di casa?
Lo si dice non perché di fronte a quanto tutti hanno visto in televisione si vogliano punizioni esemplari - che poi cinque giorni a casa propria tanto esemplare come punizione non sembra - ma perché in questo modo la domanda di giustizia di chi è stato testimone di aggressioni, violenza e distruzioni viene disorientata. Tutto quello scempio avrebbe un solo responsabile?
Perché le alternative sono due: a fronte delle dichiarazioni che parlavano di “duemila” persone implicate nelle violenze di martedì scorso (così si sono espressi il ministro Maroni e dirigenti del ministero dell’Interno) le nostre forze dell’ordine hanno arrestato solo ventidue persone che non c’entrano niente, e quindi sono degli incapaci.
Oppure la situazione degli arrestati andava vagliata con la dovuta severità, non essendo statisticamente possibile che passassero tutti di lì per caso.
Il risultato, nel primo e nel secondo caso, è quello della sostanziale impunità (salvo verifica nei processi) per chi decide di trasformare i centri delle città in arene nelle quali sfogare la propria, pur talvolta giustificabile, rabbia. Non certo un buon viatico per chi in questi centri vive e lavora, per chi questa sicurezza è chiamato a tutelare e difendere. Soprattutto in vista della nuova invasione di Roma e del nuovo tentativo di assedio ai “palazzi del potere” in calendario per mercoledì prossimo.


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