samedi, décembre 18, 2010

Maledetto Silvio, ci rovina le cene a New York

Il Riformista
Maledetto Silvio,  ci rovina le cene a New York

di redazione   ilriformista.it   20101218


«Mio marito è americano, un banchiere, i miei figli vanno in un’ottima scuola qui a New York...». Inizia così una splendida lettera...
«Mio marito è americano, un banchiere, i miei figli vanno in un’ottima scuola qui a New York...». Inizia così una splendida lettera (troppo bella per essere vera) apparsa ieri sul Fatto a firma Flaminia Lodovico Lubin, donna newyorchese, ben sposata, cene in «locali trendy» con «uomini di Wall Street» di quelli che hanno votato Obama e che sarebbero disposti a pagare più tasse «per migliorare lo stato economico del paese». Questa signora del ceto alto più che riflessivo è angustiata da una condizione che non può strapparsi di dosso e che sente il bisogno di confidare ai suoi compatrioti rimasti al di qua dell’Oceano: «Nella mia vita confezionata all’americana che più o meno funziona bene c’è un problema: sono italiana». Non farintendete, non rinnega monti mari poeti... ma si vergogna «tremendamente», «in questo momento» di rivelare la sua identità.
Perché? Perché i colleghi del marito - uomini che decidono che piega deve prendere la Borsa», ma non quelli «responsabili dei titoli tossici della finanza», sia chiaro! (ma allora decidono o no come va Wall Street?) - infieriscono su di lei fino a farla vergognare di essere italiana con domande tipo: «Perché Berlusconi è ancora capo del governo?» (se sono così intelligenti e democratici forse una risposta la potrebbero trovare, se non trovano nessuno che glielo spiega possono chiedere a Bill Clinton come si ridiventa presidenti dopo un “festino” alla Casa Bianca: vincere elezioni, do you know?). E lei, che si definisce una «fighter, cioè una combattente» diventa timida, si mortifica e soffre, come tutti gli «italiani d’America e nel resto del mondo» per essere divenuti «degli zimbelli». «Mai prima d’ora era successa una cosa del genere... prima bastava solo accennare di essere italiana a un americano che ti sentivi una regina, una star... considerata al di sopra degli altri». Forse è per questo che tutti a New York volevano andare ad abitare a Little Italy, perché «l’Italia era il massimo in tutto». Ora l’umiliata Flaminia dice che «non è più così». Anche «il tassista newyorchese che americano non è» la sfotte, «non avresti mai detto che lui pachistano o sudamericano o coreano conosca certi dettagli così nello specifico». Ma che leggono i tassisti della Grande Mela, Il Fatto?


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