jeudi, décembre 02, 2010

Cari partiti, tenetevi i soldi ma mollate il cumulo

Cari partiti,  tenetevi i soldi  ma mollate il cumulo

di Stefano Cappellini    ilriformista.it    20101202
È fin troppo facile fare demagogia sul voto della Camera che - complice una spaccatura nel gruppo del Pd - ha affossato un emendamento che avrebbe dirottato 20 milioni di euro dai rimborsi elettorali ai partiti al fondo per i ricercatori universitari.
© Marco Merlini / LaPresse Ugo Sposetti
È fin troppo facile fare demagogia sul voto della Camera che - complice una spaccatura nel gruppo del Pd - ha affossato un emendamento che avrebbe dirottato 20 milioni di euro dai rimborsi elettorali ai partiti al fondo per i ricercatori universitari.
Altrettanto facile è additare alla pubblica riprovazione Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Ds, che con un intervento in aula ha orientato verso il no il voto di buona parte del gruppo dirigente della fu Quercia e armato così la penna dei paladini anti-casta. I quali, invece di scandalizzarsi del fatto che sia saltata l’elemosina una tantum ai ricercatori, potrebbero spendersi per una battaglia meno episodica: l’abolizione della cumulabilità dei rimborsi ai partiti, che nemmeno uno Sposetti può spingersi a difendere.
Il meccanismo dei rimborsi elettorali - che poi rimborsi non sono, dato che ai partiti non viene risarcito quanto spendono in colla e manifesti ma cifre ben più sostanziose legate ai voti ricevuti - prevede che tutte le forze che hanno superato il quorum dell’1 per cento abbiano diritto a spartirsi la torta del denaro pubblico. Con la tornata politica del 2008, solo per restare alle forze principali, il Pdl si è garantito tra Camera e Senato un finanziamento complessivo di più di 200 milioni di euro, il Pd s’è fermato a quota 180 circa, la Lega oltre 40. Queste somme vengono erogate con rate annuali. Ma - è qui sta il vero scandalo, che non è il finanziamento alle forze che contribuiscono alla vita democratica bensì la sua moltiplicazione incontrollata - una legge del 2006 garantisce alle forze politiche di continuare a percepire i rimborsi anche se la legislatura si interrompe prima della scadenza naturale. Ricordate il Parlamento del 2006? Quello con Prodi appeso ai voti del Senato? Alcuni dei partiti presenti in quella legislatura non esistono nemmeno più. Eppure hanno continuato a prendere i soldi e li prenderanno ancora fino all’anno prossimo quando quel Parlamento sarebbe morto di morte naturale. Questo significa che, se si tornasse a votare nel marzo prossimo, i rimborsi delle elezioni del 2011 si cumulerebbero a quelli degli anni precedenti e il prossimo diventerebbe l’anno della cuccagna: in un colpo solo i partiti incasserebbero l’ultima rata della tornata 2006, la terza rata della tornata 2008 e la prima delle nuove elezioni.
Questo accumulo costringerebbe dunque Giulio Tremonti a trovare altre risorse per finanziare il nuovo giro di urne. Servirebbero circa altri 500 milioni per cinque anni. Una cifra enorme, se si pensa alle polemiche per i 300 milioni destinati all’emergenza alluvione in Veneto, se si considera che la battaglia dei tagli al Fondo dello spettacolo si combatte su una cifra ancora inferiore e che basterebbe poco più delle metà di quei 500 milioni per salvare dalla rottamazione la macchina del 5 per mille.
I partiti non sono simpatici quasi a nessuno. Spesso, nemmeno a chi li vota. Ma una democrazia che funzioni senza i partiti non è stata ancora inventata. Dove i partiti non esistono, non c’è la democrazia. C’è la dittatura. Prendono troppi soldi? Vero. E decurtare i loro introiti non sarebbe certo un golpe, visto che i rimborsi arrivano a pioggia anche per ogni elezione europea e regionale. Ma forse, anziché dolersi del fatto che i tesorieri tendono a difendere la cassa, ci si dovrebbe preoccupare di non arricchirla oltre il lecito. Stupisce che quasi tutti considerino (giustamente) essenziale cambiare la legge elettorale prima di tornare al voto, ma nessuno abbia alzato la mano per segnalare che sarebbe sacrosanto inserire in un angolino dell’agenda delle cose da fare prima del voto l’approvazione di una legge che cancelli la vergogna della cumulabilità dei rimborsi. Se si deve dare un segnale, che lo si dia forte e giusto, anziché cercando di lavarsi la coscienza coi ricercatori universitari per mezzo di una populistica bottarella alla “casta”.


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