jeudi, décembre 02, 2010

Party e patti Le dimensioni reali della solida (e apprezzata) politica estera del Cav.

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Party e patti
Le dimensioni reali della solida (e apprezzata) politica estera del Cav.

di redazione    ilfoglio.it   20101202



Il riconoscimento che Hillary Clinton ha voluto tributare a Silvio Berlusconi è andato assai al di là di un “atto dovuto” a risarcimento delle propalazioni pettegole e la scelta del termine superlativo di “miglior amico” esprime la considerazione per l’unicità del ruolo svolto dal premier italiano nell’arena internazionale. Più delle vociferazioni sui party notturni, contano, a quel livello, le iniziative e le prospettive politiche costruite e infine realizzate da un’Italia uscita dalla tutela franco-tedesca proprio con l’affermazione di Forza Italia nel 1994. Il prestigio italiano, in quel periodo, aveva raggiunto il suo minimo storico: il sistema politico era stato devastato da Tangentopoli, i partiti non contavano più nulla, il governo era stato affidato alla tecnocrazia della Banca d’Italia e le stragi di mafia rendevano il clima irrespirabile, al punto da indurre persone di indubbia moralità come Giovanni Conso ad atti di cedimento. L’unica missione internazionale affidata all’Italia, quella nell’ex colonia somala, si era appena conclusa, dopo 15 mesi di incontri inutili, con una tregua fittizia destinata a non reggere più di un paio di settimane.

Nei quattordici anni successivi, l’Italia – e Berlusconi in prima linea – ha promosso il riavvicinamento tra Nato e Russia, perseguito con tenacia anche nei momenti più critici, come quello della crisi georgiana, ha concluso un accordo con la Libia che chiude le ferite accumulatesi in un secolo, dall’occupazione coloniale di Tripoli, ha riaperto i canali del dialogo con la Turchia, lesionati dal pasticciaccio combinato da Massimo D’Alema col caso Ocalan, nonostante le riserve e talora il risentimento dell’alleato leghista, senza mai venir meno alla lealtà con l’alleato americano e all’amicizia con Israele. L’amicizia di Berlusconi con George W. Bush non è stata incrinata dalla convinzione espressa dal premier italiano da Mosca, alla vigilia dell’attacco a Baghdad, che non si sarebbero trovate armi di distruzione di massa nell’arsenale di Saddam Hussein. In quel modo Berlusconi tentava di mettere in guardia l’alleato dagli errori in cui erano caduti i suoi servizi di informazione, ma una volta presa la decisione non fece mancare la sua piena solidarietà. E’ l’esempio di uno stile e di un atteggiamento che esprime amicizia sincera senza trasformarla in sudditanza. Lo stesso è accaduto quando, nel momento più critico della crisi georgiana, Berlusconi premette sull’amico Vladimir Putin per indurlo a rinunciare all’invasione del paese che aveva attaccato i presidi russi, ma nel contempo espresse l’indisponibilità italiana a un appoggio incondizionato della Nato alla Georgia.

La politica internazionale dell’Italia, com’è noto, è condizionata dalla dipendenza energetica, il che rende cruciale il rapporto con i fornitori di gas e di petrolio. In passato, anche per questa ragione, l’Eni aveva assunto un ruolo rilevante nelle scelte di politica estera, cosa che aveva creato frizioni e incomprensioni con l’America. Berlusconi ha stabilizzato le relazioni con i fornitori al livello degli stati, Russia e Libia comprese naturalmente, il che tra l’altro garantisce l’approvvigionamento anche nel caso di una definitiva rottura con l’Iran e rinìmette nell’ordine gerarchico corretto i rapporti tra chi ha le responsabilità di governo e un’azienda, sepure dotata di grandi professionalità e di un ampio sistema di relazioni. Quando si esaminerà la vicenda della politica estera italiana di questi anni con atteggiamento meno influenzato dalle diatribe politiche, sarà difficile negare che Berlusconi è stato il leader europeo che ha espresso la maggiore originalità di visione, esercitando una funzione autonoma e incisiva all’interno del quadro delle alleanze atlantica ed europea.

Lo fa con la stessa determinazione e ampiezza di visuale che aveva caratterizzato il generale Charles de Gaulle, ma senza le asprezze e l’enfasi della politica di “grandeur” che ne avevano decretato alla fine il fallimento. Berlusconi ha stretto nuovi patti e ha osservato quelli antichi, rendendo certa la lealtà senza farla diventare una specie di imbalsamazione. Quei patti contano sicuramente di più dei party, sui quali invece si concentra l’attenzione pettegola di una stampa che ha perso il senso delle dimensioni. Non si sa se l’avventura politica berlusconiana proseguirà, ma in ogni caso lascerà all’Italia un’eredità di considerazione internazionale difficile da eguagliare. Il pregio dell’iniziativa da statista di Berlusconi è stata la capacità di dare continuità ad antiche e tradizionali politiche che esprimevano il peculiare interesse geopolitico dell’Italia, quelle che avevano indotto anche Amintore Fanfani e Aldo Moro a cercare rapporti speciali con la Russia e con i paesi arabi, senza cadere nelle ambiguità che ne avevano reso il linguaggio incomprensibile all’alleato americano, creando equivoci e sospetti. Naturalmente le modificazioni del sistema politico, che sembravano garantire ai governi stabilità di legislatura hanno favorito una continuità che è elemento indispensabile per la realizzazione di una strategia di ampio respiro. Anche in questo, nell’affermazione di un sistema bipolare, però, il ruolo di Berlusconi è stato decisivo. Molti dei suoi critici gli imputano come un difetto quello che è stato un carattere costante della sua iniziativa internazionale, la chiarezza poco “diplomatica” che è stata considerata quasi una sfacciataggine, che però, a lungo andare, si dimostra una carta vincente.

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