vendredi, décembre 24, 2010

Dopo 150 anni l'Italia è ancora un'incompiuta

Dopo 150 anni l'Italia è ancora un'incompiuta - PRIMO PIANO - Italiaoggi
Fatta l'unità, resta la divisione tra partito della spesa e del Nord

Dopo 150 anni l'Italia è ancora un'incompiuta

di Ishmael   italiaoggi.it   20101224

Finiamola con l'Italia! L'Italia ha vissuto abbastanza! Che venga cancellata dal novero delle potenze e delle nazionalità!» scriveva Pierre-Joseph Proudhon, socialista e anarchico originario, pochi anni dopo l'unificazione dell'Italia sotto la bandiera dei Savoia (Pierre-Joseph Proudhon, Contro l'Unità d'Italia, Miraggi, pp. 128, 16,00). Come Metternich, convinto che l'Italia fosse soltanto un'espressione geografica, Proudhon pensava che l'Italia semplicemente non potesse esistere: «L'Italia si cerca e non si trova. Sballottata tra le sue repubbliche, i suoi imperatori, i suoi papi e i suoi re, non avendo saputo sbrogliare l'enigma delle sue antiche federazioni, si agita in una disperazione impotente». Pensava che l'unità d'Italia avrebbe portato l'intera penisola alla rovina: «Per governare ventisei milioni d' uomini ai quali è stato sottratto il dominio di se stessi, per far funzionare questa macchina immensa, è necessaria una burocrazia prodigiosa e legioni di funzionari. Impiegati, soldati, tributari, ecco cosa costituirà d'ora in poi la nazione italiana. All'ultima levata di scudi organizzata dal generale Garibaldi», aggiungeva dopo il colpo di mano dei garibaldini culminato con la sconfitta d'Aspromonte, «abbiamo visto deputati, magistrati, ufficiali, funzionari pubblici, studenti, borghesi, operai, a Genova, a Firenze, a Napoli, a Palermo, pronti a disertare la bandiera di Vittorio Emanuele come prima avevano disertato quelle dei loro duchi e re, e c'è qualcuno che ancora crede alla compattezza di questo popolo, al suo spirito di nazionalità! Tanto vale credere nell'intelligente civismo dei pugnali siciliani, dei coltelli trasteverini, delle bombe orsiniane, delle baionette garibaldine!» Proudhon diffidava, come tutti i socialisti, della «politica giacobina e mazziniana», in quanto autoritaria (e unitaria insieme). Ma soprattutto diffidava degli eroi.

«Poiché si voleva un regno d'Italia, era il minimo che la dinastia fosse italiana: come si è andati a scegliere Vittorio Emanuele? Erede dell'antica casa di Maurienne, allobrogo e savoiardo d'origine, Vittorio Emanuele non ha nulla d'italiano. A che titolo ha acquisito la sovranità d'Italia? E Garibaldi? Garibaldi che talvolta è per la repubblica, talaltra per la monarchia; Garibaldi ospite, commensale, compagno o pensionante di Vittorio Emanuele, che gli deve il Regno delle Due Sicilie; Garibaldi stesso è forse italiano? No, è di Nizza. E se non è italiano, di cosa s'immischia quell'avventuriero?»

Sembrano aneddoti storici e folklore risorgimentale. Invece, come sappiamo, l'Italia e la sua ragion d'essere rimangono, centocinquant'anni dopo l'unità, all'ordine del giorno dei due partiti, quello della spesa pubblica e l'altro, il partito del nord. Passano gli anni, crollano i regni, poi le repubbliche, e siamo sempre lì, cittadini d'una nazione eternamente provvisoria, incompiuta, sotto un bando.


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