vendredi, décembre 31, 2010

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Nel brodo di coltura parigino, il killer è diventato un vincitore | Gianni Marsilli | Il Fatto Quotidiano
Nel brodo di coltura parigino, il killer è diventato un vincitore

 di redazione da ilfattoquoditiano.it   20101231

Da Henry Lévy a Carla Bruni, la rete che sostiene il giallista
C’è il “caso Battisti”, le pendenze italiane, la latitanza francese, la prigione brasiliana. Ma c’è anche, e soprattutto, il caso clinico della gauche transalpina, o meglio quell’ambiente molto parigino che un giorno si ispira a Che Guevara e un altro a Voltaire, giostrando disinvolta tra esotiche pulsioni rivoluzionarie e grandi principi di democrazia.

Nel comitato di sostegno a Cesare Battisti si son trovati nomi illustri, o comunque molto noti: per prima la scrittrice Fred Vargas, che l’ha foraggiato e protetto, e che ha trovato una sponda persino all’Eliseo nella première dame Carla Bruni, all’origine – pare – dell’incontro con il ministro della Giustizia brasiliano Tarso Genro, al quale ha spiegato la natura di “vittima” del personaggio in questione.

Al fianco di Fred Vargas è subito apparso Bernard Henri Levy, filosofo e saggista, vociante moschettiere al servizio dei diritti dell’uomo dalla Bosnia alla Georgia, passando per Russia e Pakistan. Levy, bontà sua, si astiene dal pronunciarsi sulla colpevolezza o meno di Battisti. Non esita invece a denunciare il fatto, assai fantasioso, che di Battisti in Italia si voglia fare l’emblema degli anni di piombo, usandolo come capro espiatorio di tutta la stagione terroristica, e che quindi il poveretto sia vittima di “persecuzione” e “calcoli elettoralistici”. Levy si aggrappa poi a quella che chiama la “stranezza” italiana, secondo lui contraria al diritto europeo: che si possa giudicare una persona in contumacia, e che se il latitante viene arrestato non abbia diritto a un processo tutto nuovo in sua presenza, per quanto la sentenza sia passata in giudicato. Si guarda bene, Levy, dal ricordare l’evasione di Battisti nell’81 e il fatto che nel corso dei diversi gradi di giudizio la legge italiana prevede la presenza della difesa del latitante, come nei fatti è avvenuto.

Sotto la protezione della Ville Lumière
A sostenere Battisti sono stati anche Philippe Sollers, il guru delle lettere e dell’editoria francese, che in un secondo tempo, a dire il vero, ha temperato i suoi focosi propositi, dopo essersi accorto di aver sposato non una grande causa, ma una grande cacca di cavallo della quale non controlla gli schizzi. E poi Gilles Perrault, scrittore e “comunista” di radicali convinzioni, disegnatori come Bilal e Tardi e financo i massimi responsabili della Lega per i diritti dell’uomo. Non è stato da meno il sindaco socialista della capitale, Bertrand Delanoe, che dopo aver dichiarato Battisti “sotto la protezione” del Comune, ancora nei giorni scorsi straparlava di “presunzione d’innocenza”. Le firme in favore di Battisti, alla fin fine, sono state circa 12mila: l’ambiente letterario e intellettuale più qualche migliaio di anime tanto candide quanto ignoranti. Perché è stato questo che ha accompagnato in questi anni l’impegno per la scarcerazione di Battisti: la mistificazione costante e puntuale della più recente storia italiana. Ci mise del suo anche Erri De Luca quando scrisse su Le Monde: “La Francia ha avuto bisogno di una rivoluzione per mutare la monarchia in repubblica. L’Italia ha avuto bisogno delle scosse rivoluzionarie degli anni ’70 per acquisire una democrazia…”.

Il caso Battisti è stato presentato come il calvario di un uomo rappresentativo di “una generazione di vinti”. Lo stesso Levy ha paragonato l’Italia degli anni ’70 alla Gran Bretagna alle prese con il problema irlandese, o alla Francia durante la guerra d’Algeria. Insomma in Italia, in quegli anni, ci sarebbe stata una guerra civile, e Battisti, come gli altri “rifugiati” , avrebbe il solo torto di averla persa. Battisti e compagnia avrebbero combattuto contro la P2 e i rigurgiti fascisti: nessuno di questi intellettuali si è preso la briga di spiegare (visto che non si presero la briga di capire, trent’anni fa) che i “combattenti” sparavano nella schiena di docenti universitari, magistrati, giornalisti, sindacalisti. O macellai e gioiellieri, come nel caso di Battisti.

In questa visione asina e romantica l’Italia è narrata con drammaturgia cilena, dove ai brigatisti tocca il ruolo di “resistenti”. È questo il brodo di coltura del movimento di sostegno a Battisti, quello che gli ha permesso di filarsela da Parigi e approdare in Brasile, che ha amplificato e mediaticamente legittimato le sue affabulazioni, che l’ha santificato come scrittore, quindi intoccabile per la casta di Saint Germain des Prés. In qualche salone tappezzato di libri e quadri di gran pregio, ieri pomeriggio, ci si preparava a stappare lo champagne con vista sulla Senna.
Quanto a Torregiani: chi era costui?

Da Il Fatto Quotidiano del 31 dicembre 2010


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