dimanche, décembre 12, 2010

La crisi a viso aperto di Prodi vale anche per Berlusconi

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La crisi a viso aperto di Prodi vale anche per Berlusconi

di Sergio Soave    italiaoggi.it     20101212

Alla vigilia di un altro fatidico voto di fiducia, quello che decretò la caduta del governo di centrosinistra due anni e mezzo fa, Romano Prodi liquidò le richieste, che gli venivano da esponenti della sua maggioranza, di dimettersi per consentire nuove alchimie politiche, rispondendo che «ogni crisi deve essere affrontata a viso aperto», aggiungendo che questa decisione nasceva dal suo «profondo rispetto per le istituzioni». Rispetto alla situazione di allora, quella odierna presenta alcune similitudini evidenti, ma anche molte differenze che forse vale la pena di esaminare. Il presidente del consiglio in carica decise allora e appare intenzionato oggi a verificare in Parlamento se le dichiarazioni verbali di sfiducia si esprimono in voti. Non accettare che la crisi venga proclamata da deliberati di partito ma esigere una esplicita verifica numerica nella sede istituzionale è una scelta di adesione allo spirito bipolare della seconda repubblica e un rifiuto di un ritorno al passato partitocratico. Prodi e Silvio Berlusconi sono stati i protagonisti di questa stagione bipolare, che altri ora vorrebbero archiviare. La differenza principale tra le due situazioni consiste nel fatto che mentre ora a chiedere dimissioni «spontanee» del premier sono i suoi avversari, nel caso precedente erano i suoi sostenitori e in primo luogo l'appena fondato Partito democratico. L'obiettivo proclamato era invece lo stesso di oggi, dar vita a un governo con una maggioranza diversa da quella uscita dalle elezioni con lo scopo di riformare la legge elettorale, quello sostanziale ancora lo stesso, la volontà di evitare una prova elettorale considerata pericolosa. A cose fatte, dopo le dimissioni del governo sfiduciato e il fallimento del tentativo di dar vita a un governo presieduto da Franco Marini, tutti lodarono, seppure a denti stretti, la coerenza di Prodi, che rimase in carica per la gestione degli affari correnti fino alla proclamazione dei risultati delle elezioni anticipate, che com'è noto furono ampiamente favorevoli al centrodestra. Prodi respinse l'allettamento di chi, nella sua stessa maggioranza, lo invitava alle dimissioni spontanee in vista di un immediato reincarico, come aveva già fatto quando il suo primo governo era stato battuto per un voto dalla dissidenza di Fausto Bertinotti. Sapeva bene che un reincarico condizionato da forze ostili che si dimostrano maggioritarie non serve ad altro che a perdere un po' di tempo, per arrivare poi all'affondo finale. Prodi ha perso una battaglia politica o due, ma ha conservato intatta la sua dignità proprio per aver voluto affrontare le crisi a viso aperto. Non si capisce perché mai un analogo comportamento del suo storico antagonista debba invece essere considerato irresponsabile o addirittura disonorevole prova di personalismo.

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