mardi, décembre 07, 2010

Qualche domand a quelli del Ciancimino sho

Il Riformista
Qualche domand a quelli del Ciancimino show

di Piero Sansonetti    ilriformista.it   20101207


Cosa nostra. Per me De Gennaro è stato un pessimo capo della Polizia. Ma associarlo ai clan è follia pura.

Il crollo della credibilità di Massimo Ciancimino spingerà i suoi “fans” a rivedere le proprie posizioni?
A chi mi riferisco? Ad Annozero, per esempio, a Repubblica, al Fatto Quotidiano e a vari altri. I quali, nei mesi scorsi, hanno fondato sulle testimonianze e sulla indubbia serietà di Vito Ciancimino (e anche del pentito Spatuzza) una robusta ricostruzione della storia politica italiana degli anni 90 e del modo nel quale nacque la Seconda Repubblica e si affermò il berlusconismo. Diciamo che non è stata questione di un articoletto o di una intervista in tv: pagine e pagine (prime pagine e prime pagine) una campagna giornalistica molto forte, battente, ben congegnata, che puntava, nella sostanza, a sostenere la tesi che la Seconda Repubblica non ha alcuna legittimità democratica.
Io non ho mai creduto a questa campagna, e ho scritto varie volte che la consideravo la “tomba” di ogni speranza che in Italia tornasse a vivere una sinistra. Dal momento che sono convinto che la sinistra non tornerà mai a vivere se continuerà ad affidare il suo futuro sull’azione dei giudici o sugli scoop di Repubblica, e sulla conseguente demolizione e possibilmente carcerazione degli avversari politici. Ma questo non è importante: cioè, non è importante il mio pensiero. Ora c’è una cosa molto più concreta: il crollo del pilastro di quelle tesi. Cioè la fine della favola di Ciancimino che sapeva tutto e raccontava tutto. Questa novità fa crollare rovinosamente quelle tesi.
Intendiamoci, io non mi riferisco alle accuse che sono piovute addosso a Massimo Ciancimino per il riciclaggio del denaro che avrebbe realizzato assieme ai clan calabresi. Non sono affatto sicuro che questa accusa sia fondata, come in genere non sono mai sicuro che le accuse siano fondate. Mi riferisco alle sue dichiarazioni su Gianni De Gennaro. Sono quelle dichiarazioni a rendere del tutto inaffidabile il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. Perché? Francamente, negli ultimi anni (dal 2001) su tutti i giornali sui quali ho scritto ho sempre parlato male - malissimo - di Gianni De Gennaro. Penso che sia stato un pessimo capo della polizia, che lo sia stato troppo a lungo, che abbia delle responsabilità molto gravi per il “massacro” di Genova (appunto, del 2001) e per il comportamento “cileno” - come disse D’Alema - dei suoi uomini. Però solo immaginare che Gianni De Gennaro sia compromesso con la mafia è una follia pura. È come dire che Francesco D’Assisi accumulava ricchezze. De Gennaro ha una carriera piena di demeriti fortissimi e di meriti eccezionali. Tra i meriti sicuramente c’è il suo sodalizio con Falcone che portò - per la prima volta - lo Stato a infliggere colpi micidiali, e in parte irreparabili alle cosche mafiose.
Solo che allora De Gennaro e Falcone non compravano pentiti a scatola chiusa, né se li rivendevano in tv, né credevano loro sulla parola. Lavoravano, verificavano, riscontravano, accertavano. E Falcone prima di spiccare un avviso di garanzia ci pensava cento volte. Perché? Non solo per garantismo, ma perché ritenevano che il rigore estremo fosse l’unico modo per non danneggiare le indagini. Falcone diceva che il buon giudice non è quello che inizia molti processi, ma quello che li vince. E i finti pentiti di sicuro non aiutano.
Ora la domanda che vorrei porre è questa: Annozero, Il Fatto, Repubblica (eccetera) presenteranno ai loro lettori o spettatori la nuova versione dei fatti? Cioè diranno loro con grande risalto: «Ci siamo sbagliati, Ciancimino ( e Spatuzza) non sono credibili e dunque le cose negli anni ’90 non andarono come noi ci eravamo immaginati»?. Se lo faranno per me sarà una sorpresa molto positiva, e potrei rivedere l’idea della quale mi sono convinto in questi anni, e cioè che il giornalismo è morto. Se non lo faranno, sarà una nuova bastonata alla verità. Sarà la conferma che il giornalismo italiano non ha nessun interesse alla verità, la considera un orpello fastidioso, e concepisce se stesso soltanto come il protagonista di una attività mercantile, subalterna ai progetti politici o industriali dai quali è finanziata.


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