dimanche, octobre 31, 2010

La riforma della giustizia con Fini non si farà mai

La riforma della giustizia con Fini non si farà mai - I COMMENTI - Italiaoggi
La riforma della giustizia con Fini non si farà mai

di Pierluigi Magnaschi    italiaoggi.it    20101031

Gianfranco Fini, presidente della Camera, nonché capo dei futuristi, è un politico di razza. Bisognerebbe precisare, per essere più esatti e per farsi capire meglio, che Fini è un politico di razza italiana. Uno cioè che, avendo fatto solo politica nella vita, sa perfettamente menare il can per l'aia. Fini infatti non è un solutore di problemi ma un accantonatore di problemi. Pur provenendo da un partito muscoloso, semplificatore e, a parole, decisionista (non a caso si è ispirato a lungo a un dittatore, il Mascellone, noto per avere sempre usato la durlindana del suo potere assoluto, o quasi). Ieri Fini ha detto che è «a favore della separazione delle carriere» (fra giudici e pubblici ministeri, ndr) ma è anche «assolutamente contrario alla subordinazione dei pm dell'esecutivo». In quest'ultimo caso, e lo dice una persona come Fini che, su questi temi, è uno specialista: «Sarebbe il fascismo». Ora è strano che Fini se la prenda contro l'ipotesi della subordinazione dei pm dall'esecutivo, quando questa proposta non è stata mai fatta. Perché allora Fini sventola un pericolo che non c'è? A cosa serve la sua banderilla contro un toro inesistente? Serve a fare confusione seminando dei dubbi su questioni che non esistono. Il vero problema di Fini, lo ha spiegato lui stesso un paio di settimane fa, è quello «di varare una riforma della giustizia che non sia punitiva nei confronti dei magistrati». Una riforma di questo tipo è una riforma che lascerebbe le cose come stanno. La riforma giusta, che porti al processo rapido ed equo, non è punitiva nei confronti dei magistrati ma in difesa dei diritti dei cittadini. La separazione delle carriere (che quasi tutti i pm vedono come il fumo negli occhi) è una decisione che mette i pm (che esercitano la pubblica accusa) alla stesso livello e con il medesimo status dell'avvocato, che invece difende l'imputato. Il magistrato segue il processo e (stando al di sopra di pm e avvocati) formula poi la sentenza. Ma se il pm è un magistrato come il magistrato giudicante, l'avvocato difensore si trova a giocare con un interlocutore che ha, visibilmente, più potere di lui. Non a caso, in Inghilterra, per rimarcare la terzietà del giudice rispetto alle parti (pm compreso) gli uffici dei pm non sono nel Palazzo di giustizia ma in un'altra sede. Come i giudici non dovrebbero andare a prendere il caffè con gli avvocati, così non dovrebbero farlo con i pm. Ma per non scontentare i pm (che, non a caso, hanno Fini in grande considerazione) il presidente della Camera alza il polverone, accetta il principio ma ne differisce l'applicazione. Insomma, si comporta come un politico di razza italiana. Chi ci va di mezzo? La giustizia giusta.


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