samedi, octobre 30, 2010

Morte a microcredito

Morte a microcredito - [ Il Foglio.it › La giornata ]
Morte a microcredito

Negli stati indiani più poveri l’invenzione (sopravvalutata) di Yunus mostra il suo volto peggiore

  di Nicoletta Tiliacos    ilfoglio.it  20101030

Da panacea universale contro la povertà, da geniale strumento finanziario che unisce efficienza e solidarietà, che nel 2006 ha fruttato il Nobel per la Pace al suo ideatore, il bengalese Muhammad Yunus, a “sistema di sfruttamento degli esseri umani, crudele come il nazismo e improntato soltanto su criteri di profitto”. E’ questa oggi la realtà del microcredito secondo le crude parole di Lenin Raghunvashi, attivista per i diritti umani indiano intervistato la scorsa settimana dall’agenzia Asianews. Nell’ultimo mese e mezzo, almeno quarantacinque suicidi nelle zone più povere dell’India sono stati con sicurezza collegati alla pratica dei piccoli prestiti senza garanzie, mentre uno studio commissionato dal governo, i cui risultati sono stati resi noti due settimane fa, ha evidenziato come siano a volte gli stessi agenti degli istituti di microfinanza incaricati di riscuotere le rate settimanali a suggerire il suicidio agli insolventi. Lo ha confermato ad Asianews Sujata Sharma, direttore dell’Autorità statale per lo sviluppo dei distretti rurali: “Sanno che c’è un fondo di protezione assicurativo a tutela di chi concede prestiti, che interviene in caso di morte improvvisa del debitore. Non vogliono aspettare tanto tempo o stare dietro a debitori poveri, quindi presentano la morte come un’alternativa molto pratica”.

Il Financial Times racconta che nello stato indiano dell’Andhra Pradesh, dopo che un’ordinanza aveva imposto una moratoria di dieci giorni alla raccolta delle rate da parte degli incaricati di SKS Microfinance (quotata in Borsa da settembre, quindi molto determinata a garantire il rientro dei prestiti per salvaguardare il proprio titolo) lunedì molti intermediari sono stati fermati mentre cercavano di recuperare le rate dai debitori. Pesa certamente la notizia delle decine di suicidi diffusa due settimane fa, e pesa il timore che l’annunciata legge governativa di riforma del sistema del microcredito possa ostacolare la crescita di istituti come SKS.
Qualcosa sta andando storto, insomma, nell’osannato meccanismo messo in moto tre decenni fa da Muhammad Yunus, bengalese oggi settantenne, intraprendente e carismatico, studi americani di economia, islamico ma non troppo (di sé, intervistato da Repubblica, dice di non considerarsi “esattamente” religioso), personalmente ricco ma non ricchissimo, comunicatore provetto di suo e molto potenziato da un Nobel che lo ha definitivamente circonfuso di gloria politicamente corretta. In più di trent’anni, hanno fatto molta strada sia la sua idea finanziaria – piccoli prestiti concessi a poveri così poveri che mai una banca vera avrebbe potuto prenderli in considerazione (soprattutto le donne, povere tra i poveri nei paesi del terzo mondo), per favorire la creazione di piccole imprese autosufficienti – sia la Grameen Bank, erogatrice di speranza e di sviluppo, oggi diventata fondazione coordinatrice di centinaia di iniziative in tutto il mondo.

Ma per molta strada fatta nella realtà (il microcredito coinvolge oggi circa centocinquanta milioni di persone, soprattutto in Asia, America Latina e Africa), le idee di Yunus ne hanno fatta moltissima in un immaginario occidentale colpevolizzato, che ha voluto vedere nell’economista bengalese e nella sua “banca dei poveri” la quadratura del cerchio di un mercato davvero solidale, di un piccolo capitalismo diffuso “che funziona” e che avrebbe potuto sollevare le sorti dei diseredati del pianeta, trasformandoli in piccoli imprenditori. Tanto entusiasmo, ha scritto sul Monde lo scorso gennaio l’economista Esther Duflo (docente al Massachusetts Institute of Technology e al Collège de France, studiosa di strumenti di lotta alla povertà), “non poteva non suscitare reazioni contrarie. Certi sono scettici, altri ostili, perché considerano i banchieri del microcredito come nuovi usurai che sfruttano l’incapacità dei più poveri di resistere alla tentazione del prestito; sottolineano che i tassi d’interesse, spesso presentati in modo oscuro, restano molto elevati in rapporto a quello che pagano i più ricchi”. Senza contare che gli agenti, “remunerati in funzione del numero di clienti e del tasso di rimborso, sono incitati a spingere al prestito, prima, e a forzare al rimborso con ogni mezzo, dopo”.

Convinta che Yunus non sia l’angelo del bene ma nemmeno il demonio, Paola Pierri, consulente nell’ambito del settore non-profit e fino a poco tempo fa a Unidea, fondazione non profit di Unicredit, dice al Foglio che “il problema vero è che quella del microcredito è diventata l’industria nazionale del Bangladesh. Dove, dal punto di vista sociale, non rifondere il prestito è diventata la peggiore delle colpe. Il risultato è che chi non ha i soldi da restituire va dall’usuraio. Il microcredito, insomma, almeno in alcune realtà non è riuscito nemmeno a smantellare la vecchia rete dell’usura di villaggio. E se Grameen bank presenta ottimi numeri, con tassi di restituzione altissimi, superiori al novantacinque per cento, dobbiamo tener conto anche di questo. Come pure bisogna considerare che oggi il bilancio di Grameen Bangladesh ha più depositi che crediti. Yunus continua a essere famoso come colui che presta i soldi, mentre pochi sanno che la sua banca oggi i soldi li prende in deposito, soprattutto. Non è un delitto, naturalmente. Ma bisognerebbe sempre tener conto della realtà, non del mito”. E, in realtà, di essere più pragmatico di molti dei suoi ammiratori, Yunus ha dato varie prove. Ha avviato joint venture con Danone (a Bogra, nel Bangladesh uno stabilimento produce yogurt a prezzi ridotti, con totale reinvestimento degli utili), Adidas, Veolia (azienda francese di servizi che si occupa di potabilizzazione), Basf (insetticidi), mentre nel 1998 ha dovuto rinunciare, per le forti proteste di gruppi ambientalisti, a un progetto di partnership con Monsanto, il gigante mondiale delle sementi, per diffonderne i prodotti nei villaggi bengalesi.

“Una storia assurda”, l’ha definita lo stesso Yunus in un incontro all’Abi, nel 2009, rispondendo a una domanda del pubblico: “Se mi viene un’idea vado dal migliore del mondo, e per quella mia idea il partner era Monsanto, eppure sono stato costretto a rinunciare”. I grandi gruppi coinvolti nel social business di Yunus in Bangladesh ricavano comunque grandi benefici di immagine – in questo l’economista bengalese è davvero un re Mida – compensati dai sussidi a imprese che mai potrebbero sostenersi da sole.
Il social business è la cosa che più sta a cuore a Yunus, nella fase attuale, mentre il microcredito rimane la bandiera. Un po’ malconcia, come si è visto, anche secondo un’analisi del CGAP (Consultative Group to Assist the Poor) riportata da Bloomberg, che parla di aumento deciso delle insolvenze in molti paesi emergenti nel corso degli ultimi due anni (i paesi più in difficoltà sarebbero Nicaragua, Marocco, Bosnia-Erzegovina e Pakistan).

Il motivo starebbe nel successo stesso dell’idea di Yunus, nella sua espansione e nella feroce concorrenza per accaparrarsi nuovi clienti, con prestiti concessi più facilmente. Solo in India, il comparto degli istituti di microfinanza è cresciuto ogni anno dell’ottanta per cento negli ultimi tre anni, per un totale di oltre tremila soggetti, circa quattrocento dei quali sono istituti di credito.
Alla domanda se il microcredito sia da considerare un miracolo o un disastro, l’economista Esther Duflo ha risposto, sulla base dei primi due studi sufficientemente accurati sul fenomeno (nelle Filippine e in India) che, se vero disastro non c’è, non c’è nemmeno “alcun segno di trasformazione profonda nella vita delle famiglie: nessuno dei due studi dimostra un vero impatto sulla salute, sulla scolarizzazione o sul potere di decisione delle donne”. Anche l’effetto volano per l’economia latita: “Nelle strade indiane, indonesiane o bengalesi, si vedono innumerevoli piccoli negozi di spezie, che vendono tutti la stessa cosa, e i cui ricavi sono a malapena sufficienti per pagare un salario minimo al proprietario”. Duflo non arriva alla totale bocciatura. Ma nega al “sistema Yunus” il carisma di strumento per trasformare nel profondo la vita dei più poveri: “La visione romantica di un miliardo di imprenditori a piedi nudi è probabilmente un’illusione”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO




Aucun commentaire: