lundi, octobre 18, 2010

La sinistra divora se stessa


La sinistra divora se stessa

di Giampaolo Pansa  ilriformista.it   20101017

Il 16 novembre 1977, quando le Brigate rosse spararono a Carlo Casalegno, alla Stampa accadde un fatto che molti hanno dimenticato.
Nella foto: metalmeccanici in corteo per protestare contro le politiche del lavoro del Governo
Il 16 novembre 1977, quando le Brigate rosse spararono a Carlo Casalegno, alla Stampa accadde un fatto che molti hanno dimenticato. Quella sera il Comitato di redazione e il Consiglio di fabbrica diffusero un volantino che definiva l’attentato «un vile atto di chiara marca fascista». La stessa formula bugiarda venne usata dai tre sindacati torinesi. La Cgil, la Cisl e la Uil chiamarono i cittadini a protestare «contro il terrorismo di stampo fascista».
Quella sera, arrivato a Torino come inviato di Repubblica, lessi i due volantini. Non credevo ai miei occhi. I colleghi della Stampa dovevano pur sapere chi erano gli assassini del loro vicedirettore. Lo stesso valeva per il Consiglio di fabbrica e per i tre sindacati torinesi. Mi sembrò una mostruosità. E pensai che era un passo senza precedenti nel percorso suicida delle sinistre italiane.
Mi sbagliavo: i precedenti esistevano. La sinistra era abituata da sempre a spacciare quel tipo di menzogne. Me ne resi conto quando studiai ciò che era accaduto nel novembre 1948 in un centro della provincia di Bologna, San Giovanni in Persiceto, dopo un delitto compiuto da sconosciuti. Era stato assassinato Giuseppe Fanin, ventiquattro anni, dirigente delle Acli e della Cisl, il sindacato nato quattro mesi prima. Gli avevano sfondato il cranio a sprangate, mentre ritornava a casa di sera.
Anche in quel caso il Pci, attraverso le cronache dell’Unità, cercò di far passare la tesi che Fanin era stato ucciso da un reduce della Repubblica sociale. Davide Lajolo, il direttore del quotidiano comunista, scrisse che Fanin «era un individuo provocatore, a tutti inviso, più volte minacciato dagli stessi fascisti». E da democristiano cislino «apparteneva ai sindacati neri del Governo della discordia, che istiga all’odio e alla violenza».
Dopo i primi fermi, il Pci mandò sotto la casa dei Fanin un corteo di donne comuniste. Infuriate, gridavano: «Accusate i lavoratori di aver ucciso vostro fratello, invece siete stati voi!». Trascorso qualche giorno, emerse la verità. Il segretario del Pci di San Giovanni in Persiceto si presentò agli investigatori e confessò di essere il mandante del delitto. Sulle prime sostenne di aver fatto tutto da solo. Poi svelò i nomi dei tre compagni che avevano massacrato Fanin. Pure loro confessarono.
Sbaglia chi sostiene che il passato non aiuti a capire il presente. Anche le vicende di questo ottobre nervoso ci confermano che la sinistra continua a divorare se stessa. Ossia a commettere errori su errori, senza rendersi conto di scavarsi da sola la fossa. Grazie a Dio, o al caso, non c’è un morto da piangere. Ma lo spettacolo resta indecente. E incomprensibile agli occhi di chi lo osserva con un minimo di razionalità. Volete qualche esempio?
In previsione del raduno della Fiom-Cgil a Roma, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dice in un’intervista a Repubblica che esiste il rischio di infiltrazioni per opera di gruppi violenti, in arrivo anche dall’estero. E subito le sinistre lo accusano di essere un provocatore. Anzi di alimentare niente meno che la strategia della tensione.
Anche gli assalti alle sedi della Cisl e l’occupazione della sede padovana della Confindustria vengono addossati a misteriosi gruppi fascisti. Quando si scopre che sono imprese di gruppi antagonisti dell’estrema sinistra, l’opinione prevalente nell’arcipelago rosso non cambia. Persino il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, dopo aver rischiato di morire per il fumogeno che l’ha colpito a Torino, pronuncia giudizi che mi lasciano interdetto. Soprattutto perché le accuse contro di lui e il suo sindacato sono le stesse che sessant’anni fa venivano rivolte a Fanin.
SecondoRepubblica del 13 ottobre, Bonanni parla di «squadracce fasciste». Lo stesso giorno, sul Sole 24 Ore, il suo giudizio è riferito così: «Sono squadracce che si muovono con stile da fascisti. Il colore di cui vogliono tingersi è rosso. Ma è un rosso che porta al nero e alla simbologia fascista». Parole che fanno a pugni con quanto si era già scoperto. Il fumogeno portava il timbro del Centro sociale torinese Askatasuna. L’assalto alla sede nazionale della Cisl era stato compiuto e rivendicato dal gruppo Action diritti in movimento. L’irruzione nella Confindustria padovana era opera del Centro sociale Pedro.
Questi e tanti altri centri sociali sono corsi a Roma per irrobustire l’adunata della Fiom. Quello torinese aveva pure ricevuto la visita militante di due dirigenti dei metalmeccanici Cgil: il nazionale Giorgio Cremaschi e Giacomo Divizia, della Fiom di Cuneo. Cremaschi aveva spiegato alla truppa di Askatasuna il motivo del raduno romano del 16 ottobre. Antonio Rossitto, di Panorama, l’ha raccontato così: «Stiamo andando verso un regime e non è il regime di Berlusconi. Il programma vero del Cavaliere lo sta realizzando Sergio Marchionne. Lui vuole il monopolio della lotta di classe. Ma per fortuna ci siamo noi. Dobbiamo far crescere il conflitto sociale».
In questo scontro, quale sarà il ruolo del Partito democratico? Neppure una seduta spiritica con Togliatti, Longo e Berlinguer sarebbe in grado di spiegarcelo. In piazza con la Fiom, Pigi Bersani non c’è andato. Ma ha detto ai suoi: chi vuole ci vada. Doppiezza, prudenza, mossa obbligata? Vai a saperlo. Per il resto, c’è nebbia fitta sulla strategia democratica. Attenti a non mangiarvi da soli, signori del Pd. Il cannibalismo è un pessimo vizio. I cimiteri della politica sono pieni di partiti che si sono uccisi senza l’aiuto di nessuno.

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