samedi, septembre 18, 2010

A volte ritornano



A volte ritornano
di Stefano Cappellini ilriformista.it venerdì, 17 settembre 2010

Ora vuole il papa straniero. L'ex leader del partito lancia una corrente con i popolari. Franceschini: «Sei irresponsabile». Bersani: «Basta fare regali a Berlusconi».

Una delle frasi storiche di Walter Veltroni è: «Sulla mia tomba voglio che sia scritto che non ho mai promosso o aderito a una corrente». All'ex segretario del Pd toccherà trovarne un'altra, di epigrafe, ora che sta per dare vita - con tanto di documento programmatico e raccolta di adesioni - alla nuova area di minoranza interna al Pd. Ma di massime da modificare, nel libretto rosso del veltronismo, ce ne sono parecchie dopo la sua ultima offensiva. La nuova scesa in campo - annunciata dalla «lettera al paese» pubblicata in agosto sul Corsera - avanza su una
strada strettissima e zeppa di contraddizioni.

Difficile scansare - agli occhi del proprio elettorato - l'accusa di aver riaperto la guerra a sinistra proprio ora che la crisi della maggioranza ha toccato lo zenit. Ancora più difficile è rilanciare la necessità di una nuova leadership - come ha fatto ieri l'ex sindaco di Roma a Repubblica tv - rimuovendo con eccessiva disinvoltura di essersi dimesso dalla segreteria col rammarico che alla sinistra «piace cambiare leader come le canottiere». Evidentemente, c'è canotta e canotta.


«Tornare al Pd delle origini», ripete Veltroni. Ma quali origini? Ricordavamo un Veltroni capace di ingaggiare una furiosa battaglia ideologica per far sì che lo statuto del Pd prevedesse la coincidenza tra la figura del segretario e quella del candidato premier: era uno dei capisaldi della«vocazione maggioritaria» e fu messo nero su bianco. Ci ritroviamo ora un Veltroni che, mentre il capo del partito Bersani si prepara acandidarsi, invoca per la premiership un «nuovo Prodi», il famoso papastraniero. E chissà cosa pensa di questa svolta lo stesso Prodi, il cuigoverno non cadde certo per l'inchiesta di Santa Maria Capua Veteresulla famiglia Mastella, bensì anche e soprattutto per la fretta dell'allora segretario democratico, convinto che ogni giorno in più con l'esecutivo del Professore in carica avrebbe logorato le sue chance di successo elettorale.

Ecco perché sulle riforme istituzionali Veltroni scelse di tendere la mano a Berlusconi, e non a Fini e Casini che nell'autunno 2007 si erano ribellati al Cavaliere. Ecco perchéancora oggi si batte per una difesa a oltranza del bipolarismo della Seconda Repubblica, sostenendo in speculare sintonia con Berlusconi il primato del consenso rispetto alle prerogative del Parlamento, e così provocando la commozione di Sandro Bondi e Daniele Capezzone, i più lesti a congratularsi per la «lettera al paese», e il fresco plauso dell'ultras berlusconiano Osvaldo Napoli («Non posso non rilevare con soddisfazione - ha detto ieri il deputato del Pdl - la coerenza con cui ha ripreso la sua battaglia»).

Il «neofrontismo» antiberlusconiano, scrive Veltroni nel documento programmatico, non va bene. Bisogna tornare alle origini. E anche qui ci si domanda quali: al tempo in cui a Berlusconi si usava la cortesia di definirlo «il leader dello schieramento a noi avverso»? O alla fase in cui il premier era diventato il portatore del virus malefico del «putinismo»? Questione alleanze: tornare a quando Di Pietro era l'alleato unico e «affidabile»? O all'ex pm «analfabeta della democrazia»?

Al seguito di Veltroni, a parte i fedelissimi, sono rimasti solo gli ex popolari fedeli a Beppe Fioroni, che da ministro dell'Istruzione scese in piazza col centrodestra per il Family Day e che era pronto a votare il decreto salva-Eluana (in effetti, il documento Veltroni-Fioroni è un po' reticente in tema di diritti civili). Una truppa più che dimezzata rispetto a quella che aveva sostenuto la candidatura di Dario Franceschini all'ultimo congresso. Del resto, lo scopo del nuovo «movimento» - così a Veltroni piace definire la sua corrente - è di pescare consensi fuori dal partito, secondo uno schema che rilancia un altro suo vecchio mantra, la convinzione di essere minoranza nel partito ma maggioranza nell'elettorato, quindi tra quel popolo delle primarie
che prima o poi sarà chiamato a scegliere il candidato premier del centrosinistra. E maggioranza pure nella società civile. Veltroni è sempre stato molto attento alla società civile. Non sempre ricambiato.

Il casting per la composizione delle liste alle politiche del 2008 ha riservato, a conti fatti, più amarezze che soddisfazioni. Chissà se nel ritorno alle origini, o nell'eventuale ricerca del papa
straniero, varranno i medesimi criteri che hanno portato al reclutamento di Massimo Calearo, il falco di Federmeccanica eletto in Parlamento con i voti di Fausto Bertinotti. Quel Calearo che ora, uscito a suo tempo dal Pd, è pronto a sostenere col voto il governo Berlusconi, rassicurando infine i familiari sul suo rinsavimento («Fai quello che vuoi, ma sappi che non ti voteremo», gli disse il padre alla notizia della candidatura nel Pd). Magari tra poco uscirà qualche nostalgico
della «nuova stagione» veltroniana a spiegare che, se uno come Calearo sta a destra, è colpa dei «traditori del Lingotto».


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