mercredi, septembre 15, 2010

«Dopo il Cav, Marchionne»

«Dopo il Cav, Marchionne»

il riformista.it   20100915   di Tommaso Labate

Sinistra e potere, la profezia di Fausto Bertinotti

«Berlusconi è alla fine del suo ciclo», sostiene Fausto Bertinotti. Ma dietro il crepuscolo del berlusconismo si intravedono «le avvisaglie di un altro modello, più autoritario: il marchionnismo».

«Siccome la crisi acuisce la contesa sulla competitività», è l'analisi bertinottiana, «ecco che spunta il modello Marchionne. L’impresa autoritaria come base di un nuovo modello sociale. E tra coloro che accompagnano molto questa idea c’è senz’altro Giulio Tremonti». E quelli che, a sinistra, insistono perché si raccolga la sfida dell’ad Fiat? «Se questa tesi prevale, la sinistra europea scomparirà».

Bertinotti è accomodato in una poltroncina nel suo ufficio, molto sobrio, da presidente della Fondazione Camera dei deputati. Sul tavolino c’è una copia di Chi comanda qui? (sottotitolo: «Come e perché si è smarrito il ruolo della Costituzione»), il suo ultimo libro, quello in cui l’avvento della globalizzazione e la crisi delle Costituzioni democratiche europee sono analizzate come due grandezze direttamente proporzionali.

Bertinotti, lei scrive un libro sull’erosione della democrazia e la crisi della Costituzione. Eppure, nell’indice dei nomi, non figura Silvio Berlusconi. Perché?
È stata una scelta voluta. La messa in mora della democrazia può essere analizzata anche senza tirare in ballo Berlusconi. Certo, Berlusconi è l’elemento aggiuntivo che dà una specificità al caso italiano. Ma la tendenza generale riguarda l’Europa. E nella crisi della democrazia in Europa, l’Italia è solo un caso particolare, mica l’eccezione.

Sta smontando la tesi classica del centrosinistra, quella del «Berlusconi uguale anomalia»?

Al contrario del centrosinistra, la sinistra radicale non ha mai fatto questa equazione. Per questo noi partecipiamo al movimento dei No global e loro no. Quello che in Italia chiamiamo il berlusconismo rappresenta un fenomeno che va letto in una dimensione occidentale. Altrimenti non si spiegherebbero Reagan e la Thatcher. Al centrosinistra che dice «io ce l’ho con Berlusconi» il sottoscritto risponde: «E con Reagan e la Thatcher, invece, in che rapporti stai? Pensate che Bush e Putin siano più democratici di Berlusconi?». Io ne dubito.

Sta dicendo che non basta cacciare Berlusconi perché tutto torni magicamente come prima?

Esattamente. Vede, Berlusconi è alla fine del suo ciclo. Ma la fine del ciclo di Berlusconi, che è irreparabilmente cominciata, non trascina con sé la fine di ciò che abbiamo chiamato berlusconismo. Perché questa è parte di un progresso più generale.

E che cosa c’è, secondo lei, dopo Berlusconi?

Dietro l’entrata in crisi del modello sociale europeo si nasconde la nascita di un altro modello. Il declino del primo accompagna l’ascesa del secondo, che individua più direttamente nelle relazioni sociali il centro della nuova contesa politica, economica, culturale. Berlusconi è stato l’anima populista e neoliberista di una destra vincente, che ha governato la globalizzazione. Ma oggi che la crisi sta acuendo la contesa sulla competitività, ecco che spunta il modello Marchionne. L’impresa autoritaria come base di un nuovo modello sociale. Secondo me, uno di quelli che è perfettamente in sintonia con questa idea è Giulio Tremonti.

Il neoliberismo che lascia spazio al mercatismo puro?

In un certo senso è cosi. Rispetto al capitalismo fordista-taylorista, che aveva incorporato anche uno spazio per la mediazione e riconosceva la democrazia come componente necessaria per organizzare il consenso nella società, il capitalismo di oggi è particolarmente totalizzante. Per la borghesia precedente, invece, il conflitto era considerato fisiologico. Non a caso, anche un erede aspro e radicale di quella tradizione, come Cesare Romiti, lo riconosce.

Sta dicendo che il marchionnismo punta a cancellare ogni conflitto?
L’ipotesi Marchionne è socialmente durissima. Perché arriva addirittura a spezzare l’incrocio tra populismo e neo-liberismo. Infatti, al contrario del berlusconismo, il ciclo del nuovo capitalismo non è in grado di risolvere il problema del consenso. I suoi seguaci affermano la dittatura del mercato. Non discutono, si nascondono dietro affermazioni del tipo: «Queste misure sono inevitabili. Si fa così e basta».

Anni fa fu proprio lei a individuare in Marchionne un «borghese buono».
Successe dopo un’assemblea degli industriali torinesi, in cui Marchionne disse che l’impresa che licenzia non configura un imprenditore, che era inutile pensare di bastonare un lavoratore quando il costo del lavoro pesa il 6/7 per cento, che contrattare coi sindacati italiani era meglio che farlo con quelli americani, che il suo rapporto con la Fiom era fortissimo. Tutto questo si innestava con l’idea di far crescere la Fiat in Italia. Dopo l’accordo con Chrysler, invece, la sua strategia è cambiata. Gli stabilimenti italiani si possono pure chiudere, il modello d'impresa è solo quello vincente sul terreno della competitività, il conflitto va azzerato.

Una parte del centrosinistra, però, sostiene che la sfida di Marchionne vada raccolta.
Se questa tesi prevale, saremo di fronte alla scomparsa della sinistra europea, che ha sempre coniugato la libertà con l'uguaglianza. Attenzione: il concentrazionismo, che una volta era proprio di luoghi come i manicomi e le carceri, si sta estendendo anche alle fabbriche. Posti che non sono più deputati alla democrazia. Una sinistra che non veda questa aggressione ai diritti, sostenendo che la sfida di Marchionne va accettata in nome della «modernizzazione», recide il ramo su cui è seduta. Sposare il marchionnismo può rappresentare l'eutanasia della sinistra. Al contrario, però, se individua questo come un «conflitto di civiltà», allora la sinistra può rinascere.

Passando al declino delle istituzioni, che cosa ne pensa del Pdl che chiede le dimissioni di Fini dalla Camera?
Personalità diversissime come Casini, Fini e il sottoscritto, sono stati stati sottoposti a trattamenti analoghi. È la Seconda Repubblica, quella in cui l'esecutivo e il suo capo puntano alla messa in mora del Parlamento. Ma se alla guida di un'istituzione ci metti un uomo che ha il senso della dignità del ruolo, e non di sé stesso, di fronte alla prevaricazione la risposta non può essere che la difesa a oltranza dell'istituzione stessa.

Lei riesce a immaginare Fini oltre il recinto della destra?

È evidente che Fini sta delineando il tentativo di prefigurare una destra europea. Non vedo equivoci su questo. A meno che i suoi desideri, che a mio avviso non sono poi così brillanti, non si sovrappongano.

A Cernobbio, Padoa-Schioppa ha elogiato Tremonti. Che cosa ne pensa?
Hanno avuto la stessa linea, purtroppo. Dire che c’è una continuità tra Padoa-Schioppa e Tremonti, come ha fatto Padoa-Schioppa stesso, vuol dire svelare le ragioni del fallimento del governo Prodi. Quella spiegazione funziona più di qualsiasi altro ragionamento.

Intanto, c'è chi si indigna per lo sciopero dei calciatori. E chi, invece, sostiene che non c’è mica un reddito minimo per accedere al diritto allo sciopero.

È singolare che faccia scandalo l’uso dello sciopero da parte dei calciatori e non i loro guadagni. Temo che ci sia sempre una buona ragione per parlare contro lo sciopero.



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