lundi, novembre 22, 2010

Vespa è odiato perché non fa gli errori di Ginsborg

Vespa è odiato perché non fa gli errori di Ginsborg - PRIMO PIANO - Italiaoggi
Vespa è odiato perché non fa gli errori di Ginsborg
I cacicchi dell'establishment non vogliono tra i piedi dei disturbatori più bravi di loro

di Diego Gabutti   italiaoggi.it    20101122

Paul Ginsborg, che nel suo ultimo libro, Salviamo l'Italia, Einaudi, 10 euro, pp. 136, scrive che la repubblica italiana è nata nel 1948 e non nel 1946, è considerato uno storico professionista, mentre Bruno Vespa, che da anni tiene aggiornato, in buona lingua e senza svarioni, il libro della storia italiana corrente, un titolo all'anno, certi anni di più, è considerato meno d'un dilettante. È un autore di «pessimi best seller», compreso l'ultimo, Il cuore e la spada, Mondadori, pp. 850, 22 euro. Peggio: è un agit-prop berlusconiano. Da noi l'intellighenzia non è tenuta a sapere qualcosa, come ovunque nel mondo, escluse soltanto le repubbliche socialiste e quelle islamiche. Nei paesi civili, oltre cioè i nostri confini, gl'intellettuali scrivono libri, hanno opinioni magari discutibili però interessanti; sono informati, all'occorrenza pettegoli, divertenti e divertiti; sono curiosi, intervistano i protagonisti delle loro storie, leggono libri, chiamano Tizio al telefonino o con Skype, mandano un'email a Caio e consultano intere annate di giornali. È quel che fa Vespa, sembra di capire, quando scrive uno dei suoi libri annuali che rendono conto dell'evoluzione politica del paese senza particolari devozioni (qualunque cosa ne dicano i colleghi e i comici televisivi, nessuno dei quali, specie i colleghi livorosi, ha l'aria d'essere un gran lettore). Gli altri storici, devotissimi, ricorrono sistematicamente a Wikipedia e all'improvvisazione ideologica. Da noi l'intellighenzia non è neppure tenuta a essere (e nemmeno a sembrare) intelligente. A che serve un Q.I. troppo alto? Stalin e Adolf Hitler, ai tempi, diffidavano degl'intelligentoni. Sono intelligenti gli ebrei, e i kulaki sono dei furbastri, pensavano, mentre invece il popolo è bue, non fa storie, lascia lavorare senza discutere i padri dei popoli e dei Reich millenari. Da noi l'intelligenza storica e anche soltanto il buon giornalismo (per esempio i libri di Vespa) sono guardati con sospetto da quello che per una breve stagione, all'inizio del millennio, si era autodefinito «ceto medio riflessivo». L'ottusità è di gran lunga più apprezzata dell'intelligenza (sono per esempio apprezatissime le denunce a prescindere del berlusconismo da qualunque pulpito provengano, un giorno i futuristi, un altro giorno gli storici inglesi convinti, come scrive Marcello Veneziani sul Giornale, che Dante Alighieri sia «sepolto a Firenze» e che Vincenzo Gioberti, per via del primato morale e civile degl'italiani, fosse un razzista biologico, come Hitler, o un razzista spirituale, come Julius Evola). All'intellettuale italiano, scarso di letture, di penna fiacca, sempre pronto a lodarsi e imbrodarsi ma buono soltanto a parlare in pubblico e a tener comizi, basta avere sempre a portata di mano l'opportuna frase fatta, le banalità che tutti condividono perché a evitarle si fa troppa fatica, le menzogne pure e semplici e le idee convenzionali, meglio se vecchie e polverose. Questa, a regola di briscola, è la vera arte dell'agit-prop: dire sciocchezze e mentire. Vespa avrà anche i suoi difetti ma di sicuro non mente e neppure dice sciocchezze. Racconta storie, elenca cose e fatti, non monta in cattedra e soprattutto si fa leggere dalla prima all'ultima pagine. Fabio Fazio, che ai libri di Vespa preferisce di sicuro quelli di Luciana Littizzetto, certamente si stupisce e dice «ohibò» quando qualcuno gli spiega che i libri di Vespa, oltre che più chiacchierati, sono anche molto più venduti. È per questo, perché i suoi libri si vendono bene e perché sa che Dante Alighieri è sepolto a Ravenna, che Bruno Vespa è così detestato. È detestato dai post comunisti e dagli ex democristiani di sinistra per il loro costitutivo fanatismo dell'apocalisse, dai comici televisivi per la loro tradizionale mancanza di senso dell'umorismo e dai colleghi per invidia pura e semplice. Questi ultimi sono le cheerleaders dell'intellighenzia insignificante.


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