dimanche, novembre 21, 2010

Craxi condannato troppo in fretta

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Craxi condannato troppo in fretta
di Diego Gabutti    italiaoggi.it   20101121

Meritò l'esilio e la rovina, insistono gli antipatizzanti, allegri necrofori della prima repubblica, mentre altri, tra cui Giorgio Napolitano, pensano che sia rimasto «vittima d'una violenza inaudita» ai tempi di Mani pulite, quando pietà l'era morta. Ma l'interesse per l'opera politica (e per il destino) di Bettino Craxi continua a crescere.

In questi giorni, per esempio, nelle aule di Palazzo San Macuto si sono riuniti a convegno, per discutere di craxismo, molti reduci delle antiche battaglie, ex socialisti ed ex berlingueriani. Anche questi ultimi, che un tempo lanciarono monetine sul nemico sconfitto, oggi riconoscono che Craxi aveva ragione (e loro torto) a volere che in Italia le due culture clericali, quella propriamente detta e quella comunista, sgombrassero finalmente il campo. Non che, nel frattempo, abbiano veramente imparato la lezione (visto che continuano a far ballare la sinistra politica alla musica del compromesso storico). Ma, almeno, ammettono, dopo avergli negato per anni anche l'onore delle armi, che Craxi è stato il solo leader italiano che abbia preso sul serio l'idea di modernizzare il paese. Per questo gli toccò combattere le forze reazionarie che tenevano l'Italia in pugno: il partito comunista e la Democrazia cristiana, i cui eredi tuttora s'oppongono, due decenni (anzi un millennio) dopo, a qualunque sforzo, anche modesto, di modernizzare l'Italia. È questo, in realtà, che l'opposizione, da Fini a Di Pietro a Bersani, contesta al cavaliere, non il conflitto d'interessi né il bunga bunga o la vita da nababbo ma i suoi modesti propositi riformisti. I propositi di Craxi, nel crepuscolo della prima repubblica, quando stava calando la notte ma ancora nessuno se ne accorgeva, erano assai meno modesti. Benché, anche allora, i fatti contraddicessero la teoria, come si dice; e per esempio ci s'illudesse di poter finanziare la Grande riforma (come l'avevano battezzata i craxiani, che, in un bel libro, Luigi Covatta ha chiamato efficacemente Menscevichi, Marsilio 2005) ingrassando il debito pubblico mentre erano proprio le dimensioni del debito pubblico a mandare le riforme in malora. Ma l'audacia del tentativo craxiano, così mal ripagato dagli elettori oltre che dalla magistratura e dalla classe politica, continua ad alimentare l'immaginario della sinistra italiana sopravvissuta a vent'anni di spietate faide intestine.

Come sarebbe oggi l'Italia se Craxi, malgrado noi, avesse vinto la partita? Impossibile rispondere. Ma certo non ci sarebbe Ruby. E il Fatto quotidiano non terrebbe la sinistra alla frusta.


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