mercredi, novembre 17, 2010

Quei politologi peggiori dei politici

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Quei politologi peggiori dei politici
di Cesare Maffi italiaoggi.it   20101117

Perché Ernesto Galli della Loggia è sceso in campo con un editoriale corrieresco, decretante la morte di Silvio Berlusconi, con annesso funerale del berlusconismo, usando toni talmente drastici che ancor oggi, dopo tre giorni, se ne tratta? La spiegazione è molto semplice: Galli della Loggia non è un politico, bensì un politologo. La differenza non è da poco.

Il politico conosce sul campo le difficoltà quotidiane per reggere un partito o un'istituzione, tenendo rapporti di ogni genere con personaggi di ogni livello, di ogni valore, di ogni orientamento. Il politico sa bene che in estrema sintesi, come ebbe con efficace brutalità ad asserire Rino Formica, «la politica è sangue e merda». Il politologo, invece, discetta di politica rifacendosi ai classici greci o al socialismo cosiddetto scientifico, alla dottrina sociale della Chiesa o al liberalismo ottocentesco, standosene tranquillo sulla sua cattedra, davanti a un elaboratore, in poltrona a leggere, sulla scrivania a meditare. Della rude concretezza dei problemi, nulla sa. Tuttavia, può impartire consigli, soprattutto se non richiesti e non seguiti, nella personale certezza che, se quegli zotici zucconi dei politici li applicassero, otterrebbero vantaggi, non solo per sé medesimi e il proprio partito, ma altresì per la nazione, l'Europa e come minimo un'ampia maggioranza del genere umano.

Soprattutto, il politologo ha un rovello nascosto: vorrebbe far politica. È certissimo che saprebbe imporsi. Diamine, non è un osservatore scafato? Non è un maestro riconosciuto di scienza (nemmeno arte: scienza) della politica? Non è un esperto di secoli e millenni di dottrine politiche, di esperienze lontane e vicine studiate sui libri, di eventi mondiali? Se si buttasse in politica, trionferebbe.

Peccato che il più delle volte, quando i politologi si trasformano in politici, ottengano risultati esprimibili con una sola onomatopea: flop. Un disastro. Peggio di quello che essi erano soliti rimproverare ai politici. Esempio insigne: la lista del referendum, lanciata nel '92 da un pugno di maestri del diritto, della cultura, della politologia, fra i quali ultimi il citato Galli della Loggia. La lista partì male, posto che per riuscire a presentarsi dovette far ricorso a uno dei simboli provvidenzialmente disponibili in casa Pannella, evitando così la raccolta delle firme, altrimenti disastrosa (ma già: i grandi pensatori non debbono sporcarsi le mani con questi lavorucci da lumpenproletario, come direbbe Marx). A urne chiuse, raccolse 320mila voti alla Camera, pari allo 0,8%, e ovviamente zero deputati. Al Senato ottenne qualcosina in più: 332mila voti, l'1% tondo, ma, ahiloro!, sempre zero eletti. Fra gli zero figurava il predicatore domenicale e feriale del Corriere, candidato in una mezza dozzina di posti. Dopo tale esperienza, molti fra coloro che avevano prestato il nome per l'insigne operazione, scottati, preferirono ritirarsi.

Così risulta che facesse il suddetto politologo, chiudendo l'infelice parentesi politica e tornando ai diletti studi. Verosimilmente ha serbato nell'animo un fastidio fisico, prima ancora che spirituale, per le elezioni, tale da spingerlo con costanza degna di miglior causa a bollare i politici senza mai riflettere sulle condizioni esterne, sui problemi umani, sulle difficoltà reali. La puzza al naso resta, anzi, il sussiego aumenta, perché l'infelice esperienza lo porta a pontificare, bollando quanti vanno infangandosi quotidianamente nella politica.

A conti fatti, se dei politici si può dire tutto il male che si voglia, restano sempre migliori dei politologi. Categoria alla quale viene ascritto pure chi scrive queste righe, addetto alla quotidiana analisi politologica dei fatti.


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