vendredi, mars 18, 2011

Palamara, le imprese e la responsabilità civile

Palamara, le imprese e la responsabilità civile | The Frontpage
Palamara, le imprese e la responsabilità civile




Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, contesta la proposta di attribuire direttamente al magistrato la responsabilità civile dei suoi atti con un argomento tanto suggestivo quanto falso. Secondo Palamara, infatti, il magistrato che si dovesse trovare ad affrontare vicende che riguardano imprese, si fermerebbe temendo di dover – in caso di errore giudiziario – risarcire direttamente il danno provocato.

È un argomento evidentemente pretestuoso, visto che – come accade per ogni professionista che sbagli in buona fede – a risarcire il danno interverrebbe la compagnia assicurativa con la quale il magistrato avrebbe contratto una polizza. Palamara, dunque, sembra presumere che i magistrati possano agire senza buona fede o, nella migliore delle ipotesi, che assumano provvedimenti temerari in grado di provocare un danno ingiusto con una qualche leggerezza.

E, in effetti, se questo fosse il suo pensiero, non sarebbe del tutto infondato. Non sono pochi, infatti, i casi in cui gli interventi del magistrato penale provocano conseguenze economiche non irrilevanti per imprese, datori di lavoro e lavoratori.

Un caso recente è quello di una media società romana – la Safab spa – che opera nel settore delle costruzioni e delle grandi opere. Fino al 2009 la Safab era considerata un’impresa modello nel settore delle grandi opere pubbliche e poteva vantare realizzazioni di successo e un buon portafoglio ordini. Ma ad agosto del 2009, mentre veniva inaugurato il parcheggio del Palazzo di Giustizia di Palermo realizzato dall’azienda romana, la magistratura arrestava con l’accusa di corruzione il presidente e l’amministratore delegato della Safab, i fratelli Luigi e Ferdinando Masciotta, due loro collaboratori, Fabio Vargiu e Paolo Ciarrocca, e due funzionari del Genio civile di Caltanissetta, Santo Giusti e Antonio Castiglione. Secondo la Procura di Palermo l’azienda avrebbe corrisposto tangenti ai funzionari del genio civile in cambio di un parere favorevole relativo a una transazione. Ma, trovandoci in Sicilia, non manca l’accusa di collusione con la mafia e, paradosso siciliano, proprio in relazione alla costruzione del parcheggio del Tribunale.

Da quel momento l’azienda e i suoi amministratori (e titolari) sono nel mirino. Vengono scandagliati i fornitori siciliani dell’azienda romana e se ne individua una, la Missuto di Gela, che a sua volta è oggetto di indagini per presunti legami con clan mafiosi. La Prefettura di Roma nel dicembre del 2009 revoca all’azienda il certificato antimafia, mettendo di fatto la Safab in condizioni di non poter più operare. Accanto alle iniziative giudiziarie e prefettizie, si scatenano le campagne giornalistiche. I professionisti dell’antimafia hanno materia per i loro racconti allusivi, i sospetti sull’azienda, sui suoi titolari, sui loro presunti padrini politici diventano materiale di libelli e di blog, con una continua e costante intossicazione mediatica che distrugge la reputazione di persone fino a poco tempo prima stimate da tutti. È in questo clima che, a maggio del 2010, i fratelli Masciotta sono costretti a vendere l’azienda.

A questo punto ci si aspetterebbe che le accuse rivolte fossero vere. E invece i fatti successivi dicono che l’estraneità dei titolari della Safab da qualsiasi connubio di tipo mafioso era già emersa chiaramente nel corso delle indagini effettuate dalla squadra mobile di Palermo. E per quanto riguarda il procedimento per corruzione, innanzi al tribunale di Caltanissetta, a dicembre 2010, la pena è patteggiata dagli effettivi protagonisti della vicenda che si assumono l’intera responsabilità del reato commesso, da cui i fratelli Luigi e Ferdinando Masciotta risultano estranei.

Inoltre l’azienda fornitrice “in odore di mafia”, la Missuto di Gela, su cui poggiava l’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Roma, ha avuto di recente l’autorizzazione da parte dei giudici a lavorare nuovamente presso i cantieri Safab, a dimostrazione del fatto che non rappresenta più motivo di infiltrazione mafiosa. E se non lo rappresenta oggi, ovviamente, non lo rappresentava neanche al momento dell’assunzione dell’ interdittiva. Nonostante ciò, la stampa e i media hanno continuato a indicare i fratelli Masciotta, ex proprietari della Safab, come delinquenti e in collusione con la mafia, non curanti delle gravi ripercussioni anche di carattere occupazionale che questo ha comportato. Casi come questi, purtroppo, l’Italia ne conosce molti, anche se sono pochi quelli che ottengono l’onore della cronaca. E, come spesso capita, nessuno pagherà per il colossale danno provocato. Non è il caso, allora, di riformare la responsabilità dei magistrati?


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