dimanche, juillet 01, 2012

Ecco i 334 boss graziati dalla sinistra e riacciuffati dal centrodestra

 

Ecco i 334 boss graziati dalla sinistra
e riacciuffati dal centrodestra

di Gian Marco Chiocci e Mariateresa Conti   articolo di domenica 01 luglio 2012   ilgiornale.it

 

Ecco l’elenco dei mafiosi cui nel ’93 il ministro della Giustizia Conso non rinnovò il carcere duro. Ci sono anche Vito Ciancimino e Luigi Ilardo, uomini chiave della presunta trattativa tra Stato e mafia 

Ecco l’elenco dei mafiosi cui nel ’93 il guardasigilli Conso non rinnovò il carcere duro. Ci sono pure Vito Ciancimino e Luigi Ilardo, uomini chiave della presunta trattativa. Nell’elenco dei beneficati pure esponenti di camorra e ’ndrangheta. I parenti dei reclusi avevano protestato con una lettera a Scalfaro

Altro che i tentativi dei pm di ti­rare il centrodestra a tutti i costi dentro la presunta trattativa tra Sta­to e Cosa nostra dopo le stragi del ’92 e del ’93. Altro che dichiarazio­ni più o meno fumose di pentiti o aspiranti tali stile Massimo Cianci­mino. Il perno dell’inchiesta di Pa­lermo sui contatti tra pezzi delle Istituzioni e mafiosi, l’alleggeri­mento del 41 bis, il regime di carce­re duro cui furono­sottoposti un mi­gliaio di boss all’indomani degli ec­cidi palermitani del 1992, avvenne nel 1 993, quando ministro di Giu­stizia era Giovanni Conso.

E la lista dei 334 cui l’allora Guardasigilli-in via Arenula per due mandati dal febbraio del 1993 al maggio del 1994- fece la grazia di passare a un regime carcerario più morbido, parla chiaro. Non tanto per alcuni nomi di boss di rango che figurano qua e là, in un mare magnum che però - da Adelfio Francesco da Pa­lermo a Zito Vincenzo da Fiumara, da Aquilino Paolo da Montebello Jonico (Reggio Calabria), passan­do pure per l’algerino Hamoul Mohamed e dallo slavo Haziri Fazli-è fatto anche di ’ndrangheti­sti, boss della camorra, colombia­ni e criminali vari.

Ma soprattutto per i nomi di due personaggi, or­mai defunti, e che pure fanno parte integrante della presunta trattati­va: Vito Ciancimino, l’ex sindaco boss di Palermo che secondo i pm sarebbe stato il tramite della prima fase della trattativa, quella avviata­sostengono - a cavallo delle stragi; e Luigi Ilardo, nei primi anni ’90 rappresentante della famiglia ma­fiosa di Caltanissetta, cugino e braccio destro del boss nisseno Pid­du Madonia e che però, scarcerato nel 1994, iniziò a collaborare col Ros,fece l’infiltrato nel tentativo di portare alla cattura di Bernardo Provenzano e che poi, scoperto, fu ucciso dalla mafia, nel 1996. Insomma, la sinistra trattava i boss coi guanti bianchi, mentre i governi di centrodestra li riacciuf­favano, sequestrando loro i beni e spedendoli al carcere duro senza se e senza ma. Ciancimino e Ilardo non sono le sole sorprese contenu­te nei­prospetti riepilogativi sull’an­damento del 41 bis in quegli anni trasmessi alla procura di Palermo nel gennaio del 2011 dall’allora di­rettore del Dap Franco Ionta e agli atti dell’inchiesta palermitana. Spulciando i nomi dei «graziati» dal ministro se ne scoprono delle belle.

Sì, ci sono esponenti di spic­co del gotha mafioso dell’epoca co­me il capomandamento di San Mauro Castelverde Giuseppe Fari­nella o Giuseppe Gaeta, capo della famiglia mafiosa di Termini Imere­se, o ancora il vecchissimo - classe 1917- Nenè Geraci, il capomafia di Partinico (Palermo). Ma ci sono pu­re personaggi che i galloni di boss li conquisteranno molto dopo, co­me Vito Vitale, futuro capo di Parti­nico. Non solo. Un’altra anomalia che salta all’occhio è la presenza di cognomi della vecchia mafia, quel­la che aveva perso la guerra con i corleonesi guidati da Riina e Pro­venzano. Come Inzerillo o i due Al­berti, Gerlando senior e Gerlando junior, coinvolto il primo nei princi­pali fatti di mafia degli anni ’60 e il secondo nell’uccisione a soli 17 an­ni, nel 1985, di Graziella Campa­gna. Colpisce, poi, la presenza di personaggi di rilievo marginale o che persino nulla hanno a che fare con Cosa nostra, come narcotraffi­canti colombiani, o esponenti di ’n­drangheta e camorra. Persino Re­nato Vallanzasca, di cui tutto si può dire meno che sia un capomafia,al­l’epoca beneficò del mancato rin­novo del carcere duro.

Perché questo strano mix? Non possono non tornare alla mente ­le intercettazioni sono venute fuo­ri in questi giorni- le preoccupazio­ni dell’ex ministro dell’Interno, Ni­cola Mancino, e del consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio,che al telefono parlano del suicidio in car­cere, nell’agosto del ’93,di Antoni­no Gioè. E non può non tornare al­la­mente un altro fatto di quel terri­bile 1993: la lettera che a febbraio i parenti dei detenuti sottoposti al 41 bis nelle carceri speciali di Pia­nosa e dell’Asinara inviarono al presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Una lettera aspra, dai toni minacciosi, in cui i familiari intimavano al Colle di prendere le distanze dagli «squa­dristi agli ordini del dittatore Ama­to ».

Quel Niccolò Amato,all’epoca alla guida del Dap, che pochi mesi dopo sarebbe stato silurato e sosti­tui­to col più morbido Adalberto Ca­priotti, indicato - Scalfaro sentito dai pm di Palermo ha detto di non ricordare, ma lo smentisce il suo ex segretario Gaetano Gifuni- dal Qui­rinale. Poi Conso fece il resto, con il mancato rinnovo del carcere duro per 334 reclusi. E le bombe si ferma­rono.


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