Liberiamoci da Berlusconi liberando Berlusconi | The Frontpage

Liberiamoci da Berlusconi liberando Berlusconi
di redazione thefrontpage.it 20110218
Potremmo anche infischiarcene di salvare la pelle a Berlusconi se la sua sorte giudiziaria non ponesse una questione, già argomentata da FrontPage, di – mettiamola così – arbitrarietà istituzionale. I confini della responsabilità, il chi-fa-cosa, in nome di che la fa, e con quale obiettivo democraticamente condiviso.
Il Cav. è una funzione istituzionale, non una persona. Una funzione economica, direi. Mal esercitata, okkey, ma è pur sempre quella che fa o non fa, quella che interfaccia il Paese con il resto del mondo. È quella funzione che motiva, orienta, giustifica i comportamenti economici di un intero paese, di chi ci sta ed opera per geografica appartenenza, di chi potrebbe starci, di chi ha deciso di rimanerci, di chi potrebbe entrarci per razionale convenienza.
Per ciascuno di costoro, il Cav. è un problema, paragonabile solo alla speculare volontà di rimuoverlo – con mezzi non esattamente propri di uno Stato di diritto in cui, certo, la legge è uguale per tutti. E le notizie di reato, anche loro, valgono per tutti l’apertura di un procedimento giudiziario. Il presidente del Consiglio è oggetto di una pluralità di notizie di tal fatta: è un perseguitato che se le va a cercare.
Ma mettiamola così: il benessere dei cittadini è l’obiettivo unificante – è così, almeno, nei paesi a democrazia compiuta. Il benessere si persegue creando le condizioni per l’attrazione di investimenti, per la libertà di intrapresa, per la consequenziale armonica relazione con le parti istituzionali. Si crea benessere quando – a cospetto della norma, e di chi se ne fa autore – i portatori di interessi si riconoscono equipollenti. Quando si ha certezza del diritto e garanzia dell’impersonalità della norma e della relativa interpretazione.
L’economia – i suoi altalenanti riscontri – sono il sintomo della sanità di un sistema. Non si investe in un paese il cui leader, seppure democraticamente scelto, è fonte di, libertariamente parlando, opacità. A Gaza, per dire, di investimenti capitalisticamente indotti non ne arrivano, nonostante l’apoteosi di suffragi per Hamas. Ci sarà un perché, no?
Berlusconi è unfit to run a country, e lo è per una pluralità di ragioni. Perché non sa governare, perché ha aumentato la spesa pubblica, perché non ha fatto una sola delle riforme che qualunque leader dotato di un minimo di senso di responsabilità non avrebbe perso un secondo per ratificare. Lo è perché la sua figura è in sé un crogiuolo di ‘eccezioni’ Berlusconi – la sua ingombrante persona – ha imposto al paese il sovvertimento della regola – la certezza della quale è invece la sola bussola che orienta i comportamenti economici di ciascuno di noi. Quando Berlusconi – in piena crisi globale, mentre la gente perdeva il lavoro, le aziende vedevano le commesse contrarsi, i giornali vivevano l’emorragia di inserzionisti – chiedeva di consumare, negava il problema, è ovvio che non gli dava retta nessuno, neppure i suoi.
Per questo Berlusconi dovrebbe essere archiviato. Perché vive in un mondo tutto suo. Perché, da imprenditore che agisce in un non-mercato, è abituato ad un sistema chiuso, reso economicamente profittevole solo da – diciamolo – opportunità partigiana. Berlusconi è oggettivamente unfit. Perché è vero che è un perseguitato e che la persecuzione non è una opzione conforme ad una civiltà democratica. Ma lo è – unfit – perché il suo personale interesse non coincide affatto con quello del Paese. Servirebbe privatizzare la Rai, sopprimere le corporazioni, rendere effettiva la concorrenza. Servirebbe tranciare l’invadenza del pubblico, porre l’individuo e la sua libertà al centro della narrazione, e della conseguente azione politica.
Servirebbe che ogni centesimo di spesa pubblica fosse motivato, politicamente giustificato da un progetto, non poi così dissimile dal business plan che il Berlusconi imprenditore sarebbe costretto a concepire se fosse libero di intraprendere in un contesto nel quale vincono i migliori, quelli che creano più ricchezza, più posti di lavoro, più Pil. Il progetto che il Berlusconi imprenditore sarebbe costretto ad elaborare se fosse obbligato ad agire in un mercato libero, ed in un environment – economicamente ed istituzionalmente – autenticamente libero.
È interesse del Paese rappacificare – de-personificare – le funzioni istituzionali. È interesse del Paese ritrovarsi in un patto democratico che riconosca nella capacità di creare opportunità, e di estenderle a tutti, indipendentemente dalla contiguità temporalmente opportuna, la leva da azionare perché i benefici siano propri e, per estensione, anche comuni.
Berlusconi è il problema, non la soluzione. La sua rimozione per via giudiziaria tuttavia quel problema lo modifica geneticamente. Lo trasmuta da questione politica in questione democratica. In questione, cioè, filosoficamente più impegnativa.
Liberiamoci da Berlusconi, liberando Berlusconi. Diamogli la libertà che vorremmo noi stessi ri-acquisire. La libertà di comportarci in privato come più ci piace. La libertà di agire in pubblico assumendoci la responsabilità delle nostre azioni. Diamo a Berlusconi il salvacondotto che la sua sostanzialmente effimera attività pubblica merita. E poi ritroviamoci. Crescere insieme: non è questo l’obiettivo, democraticamente unificante nel quale tous ensemble potremmo riconoscere le ragioni del nostro stare insieme?
Quell’obiettivo è precluso al Berlusconi premier, ovvero all’imputato, che è tutore della certezza istituzionale ed al contempo dalla sua principale fonte di destabilizzazione. Se foste imprenditori, voi, se aveste la possibilità di contribuire al nostro Pil, vi battereste per il mantenimento del Berlusconi premier o per un sistema libero, contendibile, non ad personalmente immobilizzato? E vi sbattereste per mandare alla gogna il pover’uomo, o semplicemente per agevolarne l’indolore dipartita?

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