mardi, octobre 01, 2013

Élite locali e clientelismo selvaggio. Il (brutto) volto del federalismo

Élite locali e clientelismo selvaggio.  Il (brutto) volto del federalismo
Un'immagine dell'Italia attraverso le intercettazioni dell'ex governatrice Maria Rita Lorenzetti.
Ernesto Galli Della Loggia      Corriere.it  20131001
Che cosa sono diventate, all'ombra del federalismo dispiegato, le classi politiche locali che governano le regioni italiane? Che tipo di donne e uomini sono, qual è la loro carriera? E che cos'è il potere locale, il microcosmo delle sue relazioni? Uno squarcio dietro le quinte su tutto questo gli italiani lo hanno potuto avere, nei giorni scorsi grazie alle intercettazioni disposte a carico di Maria Rita Lorenzetti, ora imputata dalla Procura di Firenze di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e abuso d'ufficio nella sua qualità di presidente della Italferr, una società delle Ferrovie dello Stato. Carica ottenuta dalla Lorenzetti non già per qualche sua competenza o capacità particolare, ma semplicemente perché membro dell'alta nomenclatura del Partito democratico - a 22 anni assessore a Foligno, a 31 sindaco, a 35 deputata per quattro legislature, presidente della commissione per i Lavori pubblici della Camera, sottosegretaria e infine, dal 2000 al 2010, governatrice dell'Umbria - per giunta notoriamente sotto l'alto patronato di un Lord Protettore del calibro di Massimo D'Alema, al quale, pare, neppure il coriaceo ingegner Moretti se la sente di negare nulla durante le cene da Vissani - e pertanto avente diritto vita natural durante a un appannaggio della lottizzazione.

La spregiudicatezza, la consuetudine con l'arbitrio, la ricerca di una familiarità compiacente con chi è un gradino più su di lei (per esempio la senatrice Finocchiaro, ahimè sua grande amica, si direbbe) e viceversa il disprezzo arrogante per chi non si piega («stronzo», «terrorista», «bastardo», «mascalzone», sono gli epiteti di cui gratifica l'architetto della Regione Toscana, Fabio Zita, colpevole di opporsi alle sue presunte malefatte, ma che il solerte governatore della stessa Regione, Enrico Rossi, anche lui del Pd, provvederà obbedientemente a rimuovere subito): molte di queste cose sono agli atti e su di esse giudicherà la magistratura.
Ma è nell'Umbria natìa - dove ha governato guadagnandosi il titolo di «zarina» - che a suo modo la Lorenzetti continua a dare il meglio di sé. È lì che debitamente intercettata ci mostra che cosa è il potere locale e, diciamo pure, che cosa è l'Italia delle cento città e delle sue élite urbane. Sul versante del potere politico, l'impressione è quella di un'oligarchia plebea assurta agli agi e alle opportunità del potere senza avere la minima educazione o cultura necessarie per non restarne ebbra. Sul versante dei notabili locali, si assiste invece allo spettacolo di un'accondiscendenza servile verso la politica. S'indovina in complesso una società legata a filo doppio alla politica locale in un intreccio e uno scambio continuo, pronta a dire sempre di sì, sicura di ottenere domani in cambio qualcosa. L'occasione della telefonata è miserabile ma significativa: una raccomandazione che la Lorenzetti chiede al rettore dell'Università (per il tramite di una professoressa sua ex assessore, naturalmente del Pd anche lei): nientedimeno che per far promuovere a un esame di medicina uno studente figlio di un «compagno». Come sempre l'elemento più rivelatore è il linguaggio. La prof alla Lorenzetti: «Ho capito, ha bisogno di non essere fermato ingiustamente, diciamo così per qualche finezza accademica» (chi parla, si ricordi, è una docente universitaria...); Lorenzetti: «Ecco hai capito perfettamente Gaia mia. Noi siamo concrete e pratiche senza tante seghe»; la prof (a raccomandazione inoltrata): «Il rettore si è prosternato perché gli ho detto da chi viene: a disposizione!» (ride); la Lorenzetti (a cose fatte): «Sei grande»; la prof: «Come si dice, a noi chi ci ammazza?»; l'altra, più tardi: «Grazie pischella mia. Noi della vecchia guardia siamo sempre dalla parte del più debole» (leggi: di chi ha in tasca la tessera del suo partito).
In quanti casi, mi chiedo, il localismo italiano è questa roba qui? Certo, ogni luogo è diverso e ogni persona fa storia a sé. Certo, l'Umbria è una piccola regione che non ha mai conosciuto altro governo che quello della sinistra: dominata da sessant'anni da un blocco egemonico al cui centro c'è un vasto circuito massonico che fa da ponte e integra a meraviglia il ferreo potere amministrativo-clientelare del Pd da un lato, e gli interessi del notabilato economico-professionale dall'altro. Risultandone la virtuale assenza di qualunque opposizione e una straordinaria situazione d'immobilismo sociale e di stagnazione culturale. L'Umbria, dicevo, rappresenta queste specificità, ma pare di capire che anche in altre vaste parti della Penisola la qualità delle élite politiche locali stia conoscendo da tempo un progressivo scadimento, dando luogo ad altrettante «belle squadre», all'opera, più o meno, sul modello che suscita il compiacimento della Lorenzetti.
Parecchi fattori spingono in questa direzione negativa: la disintegrazione degli apparati centrali dei partiti insieme al venir meno di ogni loro reale funzione di indirizzo e di controllo: sicché quel che resta dei partiti è ormai solo una serie di autonomi potentati locali; il rafforzamento che ciò ha prodotto dell'antica, inestirpabile tradizione oligarchica a base di famiglie, clan, conventicole, vera anima e peste della dimensione locale italiana, generalmente sempre peggiore di quella nazionale; la sempre maggiore diserzione dalla cosa pubblica, locale in specie, di personalità indipendenti non impegnate a costruirsi una propria, personale, carriera politica; e infine l'aumento di competenze e di risorse piovute a livello locale per effetto dell'allargamento dei poteri specie dell'ente regionale, le quali, soprattutto in tempo di crisi, hanno accresciuto di molto l'influenza di quest'ultimo. Nel nostro Paese, in un gran numero di casi è fatto di queste cose qui, consiste in questo ormai il tanto decantato federalismo: è l'ennesimo capitolo di quell'autentico cimitero delle illusioni che sta diventando l'Italia.


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