L'Italia? Il Paese più affidabile d'Europa se nel debito finiscono le
pensioni. Il rebus del calcolo
Mentre gli Usa sono tecnicamente a rischio default (entro
il 17 ottobre repubblicani e democratici dovranno decidere sull'aumento del
detto al debito) torna alla ribalta il tema della sostenibilità del debito dei
Paesi. Per l'Italia spesso si dice che il tallone d'achille sono quei 2000
miliardi di debito che, rapportati a un Pil calante (ha perso 8 punti dal 2008
ed è sceso sotto 1.600 miliardi) proiettano il rapporto debito/Pil intorno a
quota 130%. Un parametro lontano da quanto previsto da Maastricht (i Paesi
dovrebbero tendere al 60%) e dal Fiscal compact (che impone il pareggio di
bilancio a partire dal 2015).
Resta il fatto che si tratta pur sempre
di parametri e di calcoli che rischiano di non rispettare fedelmente e in modo
ponderato le caratteristiche di un Paese. Se si prova a cambiare punto di vista
si scopre che le cose possono essere profondamente diverse. Ce lo dice la
stessa commissione europea nel Fiscal sustainability
report 2012. Bruxelles ha elaborato un altro parametro, l'indicatore
di sostenibilità S2. Non si ferma al calcolo dell'ammontare del debito ma tiene
anche conto del flusso degli avanzi primari futuri (e l'Italia è maestra in
fatto di avanzi primari dato che è da 10 anni che, non considerando gli
interessi sul debito, è in avanzo), degli interessi attesi e delle spese legate
alla demografia. In parole povere questo indice fa riferimento alla
sostenibilità dei conti pubblici anche in relazione alle spese previste su
pensioni e sanità. E quindi va un po' più in profondita passando dal debito
esplicito a quello implicito (mettendo a budget i costi che verranno).
Quale è il risultato? L'Italia è il
Paese fiscalmente più sostenibile nel lungo periodo fra tutti i Paesi
dell'Unione europea (come si evince da questo grafico). «Solo l'Italia ha una
posizione di bilancio iniziale sufficiente ad assorbire il previsto aumento dei
costi correlati all'età della popolazione», si legge nel documento della
Commissione. Questo «grazie agli sforzi di risanamento degli anni precedenti».
Il paradosso c'è tutto: la Commissione
europea, nel momento in cui va più in profondità ed amplia il concetto di
debito pubblico rispetto a quanto previsto dai trattati di Maastricht e
seguenti, promuove l'Italia. Studi come questi stridono però con politiche di consolidamento fiscale richieste dalla
stessa Europa in fasi di recessione, da cui è scaturito, last but
non least, il recente aumento dell'Iva al 22%.
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