La legge non
è uguale per tutti. Così la Cassazione si è tradita
Sconcertante linea delle Sezioni unite civili sul caso
di un magistrato sanzionato. La Suprema Corte: vale il principio della
discrezionalità. E le toghe di Md si salvano
La legge è uguale per tutti. Ma non al tribunale dei giudici. Vincenzo
Barbieri, toga disinvolta, viene inchiodato dalle intercettazioni telefoniche,
ma le stesse intercettazioni vengono cestinate nel caso di Paolo Mancuso, nome
storico di Magistratura democratica.
Eduardo Scardaccione, altro attivista di Md, la corrente di sinistra delle
toghe italiane, se la cava anche se ha avuto la faccia tosta di inviare un
pizzino al collega, prima dell'udienza, per sponsorizzare il titolare di una
clinica. Assolto pure lui, mentre Domenico Iannelli, avvocato generale della
Suprema corte, si vede condannare per aver semplicemente sollecitato una
sentenza attesa da quasi sette anni.
Sarà un caso ma il tribunale disciplinare funziona così: spesso i giudici
al di fuori delle logiche correntizie vengono incastrati senza pietà. Quelli
che invece hanno un curriculum sfavillante, magari a sinistra, magari dentro
Md, trovano una via d'uscita. Non solo. Quel che viene stabilito dalla Sezione
disciplinare del Csm trova facilmente sponda nel grado superiore, alle Sezioni
unite civili della Cassazione, scioglilingua chilometrico, come i titoli dei
film di Lina Wertmüller, per indicare la più prestigiosa delle corti.
E proprio le Sezioni unite civili della Cassazione, nei mesi scorsi, hanno
teorizzato il principio che sancisce la discrezionalità assoluta per i
procedimenti disciplinari: se un magistrato viene punito e l'altro no, si salva
anche se la mancanza è la stessa, pazienza. Il primo se ne dovrà fare una
ragione. Testuale.
Così scrive l'autorevolissimo collegio guidato da Roberto Preden, dei Verdi, l'altra corrente di sinistra della magistratura italiana, e composto da eminenti giuristi come Renato Rordorf e Luigi Antonio Rovelli, di Md, e Antonio Segreto di Unicost, la corrente di maggioranza, teoricamente centrista ma spesso orientata a sua volta a sinistra.
Così scrive l'autorevolissimo collegio guidato da Roberto Preden, dei Verdi, l'altra corrente di sinistra della magistratura italiana, e composto da eminenti giuristi come Renato Rordorf e Luigi Antonio Rovelli, di Md, e Antonio Segreto di Unicost, la corrente di maggioranza, teoricamente centrista ma spesso orientata a sua volta a sinistra.
A lamentarsi è Vincenzo Brancato, giudice di Lecce, incolpato per gravi
ritardi nella stesura delle sentenze e di altri provvedimenti. La Cassazione
l'ha condannato e le sezioni unite civili confermano ribadendo un principio
choc: la legge non è uguale per tutti. O meglio, va bene per gli altri, ma non
per i giudici. Un collega di Lecce, fa notare Brancato, ha avuto gli stessi
addebiti ma alla fine è uscito indenne dal processo disciplinare. Come mai? È
tutto in regola, replica il tribunale di secondo grado. «La contraddittorietà
di motivazione - si legge nel verdetto del 25 gennaio 2013 - va colta solo
all'interno della stessa sentenza e non dal raffronto fra vari provvedimenti,
per quanto dello stesso giudice». Chiaro? Si può contestare il diverso trattamento
solo se i due pesi e le due misure convivono dentro lo stesso verdetto.
Altrimenti ci si deve rassegnare. E poiché Brancato e il collega più fortunato,
valutato con mano leggera, sono protagonisti di due sentenze diverse, il caso è
chiuso.
Senza se e senza ma: «Va ribadito il principio già espresso da queste
sezioni unite secondo cui il ricorso avverso le pronunce della sezione
disciplinare del Csm non può essere rivolto a conseguire un sindacato sui
poteri discrezionali di detta sezione mediante la denuncia del vizio di eccesso
di potere, attesa la natura giurisdizionale e non amministrativa di tali
pronunce». Tante teste, tante sentenze. «Pertanto non può censurarsi il diverso
metro di giudizio adottato dalla sezione disciplinare del Csm nel proprio procedimento
rispetto ad altro, apparentemente identico, a carico di magistrato del medesimo
ufficio giudiziario, assolto dalla stessa incolpazione». Tradotto: i
magistrati, nelle loro pronunce, possono far pendere la bilancia dalla parte
che vogliono.
Il principio è srotolato insieme a tutte le sue conseguenze e porta il timbro di giuristi autorevolissimi, fra i più titolati d'Italia.
Il principio è srotolato insieme a tutte le sue conseguenze e porta il timbro di giuristi autorevolissimi, fra i più titolati d'Italia.
È evidente che si tratta di una massima sconcertante che rischia di creare
figli e figliastri. È, anche, sulla base di questo ragionamento che magistrati
appartenenti alle correnti di sinistra, in particolare Md, così come le toghe
legate alle corporazioni più strutturate, sono stati assolti mentre i loro
colleghi senza reti di rapporti o di amicizie sono stati colpiti in modo inflessibile.
Peccato che questo meccanismo vada contro la Convenzione dei diritti
dell'uomo: «L'articolo 14 vieta di trattare in modo differente, salvo
giustificazione ragionevole e obiettiva, persone che si trovino in situazioni
analoghe».
Per i giudici italiani, a quanto pare, questo criterio non è valido. Non
solo. La stessa Cassazione, sezione Lavoro, afferma che la bilancia dev'essere
perfettamente in equilibrio. Il caso è quello di due dipendenti Telecom che
avevano usato il cellulare aziendale per conversazioni private. Il primo viene
licenziato, il secondo no. E dunque quello che è stato spedito a casa si sente
discriminato e fa causa. La Cassazione gli dà ragione: «In presenza del
medesimo illecito disciplinare commesso da più dipendenti, la discrezionalità
del datore di lavoro non può trasformarsi in arbitrio, con la conseguenza che è
fatto obbligo al datore di lavoro di indicare le ragioni che lo inducono a
ritenere grave il comportamento illecito di un dipendente, tanto da
giustificare il licenziamento, mentre per altri dipendenti è applicata una
sanzione diversa». Il metro dev'essere sempre lo stesso. Ma non per i
magistrati, sudditi di un potere discrezionale che non è tenuto a spiegare le
proprie scelte.
La regola funziona per i dipendenti Telecom, insomma, per i privati. Non
per i magistrati e il loro apparato di potere. La legge è uguale per tutti ma
non tutti i magistrati sono uguali davanti alla legge.
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