Travaglio e i
grillini fanno a pezzi il codice pur di fermare Silvio
La giurisprudenza secondo Marco e i
grillini. Il punto? L'ineleggibilità fa acqua da tutte le parti
Di Filippo Facci liberoquoditiano.it 23/05/2013 @FilippoFacci
Fantastico,
Marco Travaglio e i pentastellati hanno scoperto la giurisprudenza. Dopo aver
copiato milioni di sentenze, il nostro laureato in filosofia ha scoperto che
esiste una «interpretazione della legge» come quella che dal 1957 ha riguardato
la 361, la norma sull’incandidabilità dei titolari di concessioni statali,
quella che - effettivamente - avrebbe dovuto impedire a Berlusconi di
candidarsi. A corto di bersagli, il nostro cabarettista se l’è presa con il
giurista Michele Ainis che sul Corriere l’aveva messa così: «Nel diritto
parlamentare ogni errore reiterato si trasforma in verità». E questa è una
«solennissima corbelleria», secondo Travaglio: il quale ignora, per cominciare,
che il suo amicone Gustavo Zagrebelsky (costituzionalista come Ainis) aveva
espresso concetti identici a Piazza Pulita di lunedì scorso. Ignora che ciò non
accade nel diritto parlamentare: accade nel diritto e basta. Finge di ignorare,
soprattutto, che la giurisprudenza - intesa come facoltà d’interpretare una
legge sino a stravolgerla o spesso a rovesciarne i propositi iniziali - è
esattamente quella che negli ultimi 24 anni ha permesso ai suoi amici
magistrati e ai loro addetti stampa d’interpretare la legge a loro uso e
consumo, fottendosene delle velleità del legislatore e tradendo lo spirito di
chi elaborò il Codice penale del 1989. Ma, soprattutto, facendo perdere un
sacco di tempo a tutti: perché in Italia si biascica sempre di «riforma della
Giustizia» come se servissero nuove regole per sostituire quelle vecchie, ma è
falso, servono nuove regole soltanto per rendere inequivoca l’applicazione
delle vecchie: che da principio andavano benissimo ma che i magistrati hanno
stravolto con la prassi, la giurisprudenza, la corte di Cassazione e la Corte
Costituzionale.
La
semplificazione dei riti: era già contenuta nel Codice del 1989. La terzietà
del giudice e la pari dignità giuridica dell’avvocato e del pubblico ministero:
era l’ossatura fondamentale dello stesso Codice del 1989, col processo
accusatorio che avrebbe dovuto soppiantare l’inquisitorio; la differenziazione
delle carriere ne era l’ovvia conseguenza. La responsabilità dei magistrati che
commettano errori gravi: quella norma l’abbiamo votata nel referendum del 1987,
ma è restata lettera morta. E le intercettazioni, il segreto istruttorio? Il
Codice di procedura del 1989, agli articoli 114 e 329, metteva nero su bianco
le stesse novità che il centrodestra vorrebbe reintrodurre e che fanno gridare
«bavaglio» ai poveretti. Il vicepresidente del Csm, nel 1992, diceva: «La stampa
deve intervenire solo a conclusione delle indagini, e l’avviso di garanzia deve
essere protetto da segreto istruttorio». Il professor Giandomenico Pisapia,
relatore del Nuovo Codice, chiarì che «è il processo che è pubblico, non le
indagini. Il Nuovo Codice vieta la divulgazione di atti che sono in gran parte
segreti: il segreto delle indagini c’è, e serve a tutelare l’indagato». E la
carcerazione preventiva, allora? Doveva essere «l’extrema ratio»: spiegatelo ai
giudici della stagione di Mani Pulite.
Anzi
spiegatelo a Travaglio, che se le prende col professor Ainis soltanto perché
non è amico suo: «Per i giuristi come lui rispetto delle leggi non è un
valore», ha scritto, fingendo abilmente di essere ignorante. Ma se la prenda
con la categoria da lui tanto amata, quella che il Codice l’ha fatto a pezzi.
Fu la magistratura a usare Antonio Di Pietro come ariete e a operare una
contro-legislazione dall’alto: alcune sentenze della Corte costituzionale (n.
255 del 3 giugno 1992) e una legge suicida fatta da una classe politica
spaventata dalla strage di Capaci (la riforma dell’articolo 371, che consentiva
l’arresto per reticenza) di fatto ristabilirono e rafforzarono lo strapotere
delle indagini preliminari. Altro che processo alla Perry Mason, altro che parità
tra avvocato e pm, altro che prova che si formi rigorosamente in aula: ai
pubblici ministeri tornò a essere sufficiente estrarre verbali d’interrogatorio
e riversarli meramente in processi che non contavano più nulla, ridotti a
vidimazioni notarili delle carte in mano all’accusa. La totale discrezionalità
dei pm prese a dipendere cioè dalla loro buona o cattiva disposizione, dalle
trattative che l’indagato fosse disposto ad accettare pur di uscire dal
procedimento o dalla galera preventiva: colpevole o innocente che si ritenesse.
La riforma costituzionale dell’articolo 513, nel 1999 - cioè ben diec’anni dopo
l’entrata in vigore del Codice - ristabilì proprio il principio chiave che Mani
pulite aveva fatto a pezzi, ma appunto, per rimettere in riga i magistrati ci
volle una riforma della Costituzione.
Non
è neppure un caso che nel Codice del 1989 il famigerato «concorso esterno in
associazione mafiosa» non esista proprio: è diventato la libera somma di due
ipotesi di reato (il «concorso» previsto dall’art.110 e l’«associazione
mafiosa» prevista dall’art. 416 bis) a mezzo del quale la magistratura ha
ritenuto di colmare una lacuna legislativa: col risultato, noto, di aver creato
una configurazione molto generica le cui applicazioni sono continuamente reinventate
e stilizzate dalle sentenze appunto della Cassazione, e questo ben fregandosene
dei supposti «principi molto rigorosi» con cui le Sezioni unite della stessa
Suprema Corte hanno cercato più volte di disciplinarlo (come fecero con la
sentenza Mannino del 2005, quella che il pm Antonio Ingroia, secondo il
procuratore della Cassazione, nel processo Dell’Utri ha finto che non
esistesse). Gli esempi sarebbero milioni, ma il problema secondo Travaglio è
solo è la legge del 1957 da riesumare nella sua interpretazione originale, così
da cacciare Berlusconi in barba alla giurisprudenza - paracula - che negli
ultimi vent’anni gli ha permesso di fare politica con il placet
dell’opposizione. I principi non si barattano, ma per una volta si potrebbe
proporre uno scambio: gli diamo Berlusconi e loro ci restituiscono il Codice,
la giustizia, questo nodo che angustia il Paese da decenni, questa zeppa sulla
strada del Paese normale.
Aucun commentaire:
Enregistrer un commentaire