samedi, mai 25, 2013

Il flop del welfare state per gli immigrati in Scandinavia

 

Il flop del welfare state per gli immigrati in Scandinavia 

Era l'Eldorado dei migranti. Ma l'ospitalità del Nord Europa ha fallito. La Danimarca ha già ridotto le accoglienze. E in Svezia l'estrema destra sovvenziona chi fa ritorno a casa. 

di Cinzia Franceschini     Lettera43.it     Venerdì, 24 Maggio 2013

 

Quando nel 2006 il ministro danese per l'Immigrazione e l'integrazione, Rikke Hvilshoj, annunciò che il suo Paese avrebbe presto adottato nuove regole in materia di accoglienza, bastò un numero a far capire che l'ospitalità nordeuropea sarebbe stata rivoluzionata.
«Se l'immigrazione dai Paesi del terzo mondo venisse bloccata, quel 75% di tagli indispensabili alla sopravvivenza del nostro welfare state non sarebbero più necessari», disse infatti il politico, segnando uno spartiacque.
La Danimarca mise a punto allora una delle politiche migratorie più restrittive in Europa, riducendo della metà i ricongiungimenti e accogliendo non più di 2 mila rifugiati l'anno.

IMMIGRAZIONE BOOM IN SVEZIA. Oggi la Svezia, sconvolta dai riot nelle periferie di Stoccolma, si trova nella stessa situazione della Danimarca di 7 anni fa.
Lo Stato scandinavo s'interroga sul futuro delle sue politiche di accoglienza. Da una parte c'è l'altissimo numero di richiedenti asilo, 44 mila richieste nel 2012 che dovrebbero alzarsi fino a 50 mila nel 2013.
In genere ne vengono accolte poco meno della metà, un numero comunque alto per un Paese di 9 milioni di abitanti e con uno stato sociale allargato come quello della Svezia.

LA RABBIA DEI QUARTIERI GHETTO. Dall'altra ci sono i segni evidenti delle fallite politiche di integrazione.
Ne sono un esempio i quartieri-ghetto di Rosengård, a Malmö, e quelli della periferia di Stoccolma, dove da cinque notti ragazzi tra i 15 e i 19 anni incendiano le automobili e lanciano pietre contro la polizia, sfogando la rabbia di chi, dicono, è stato dimenticato dalla politica.

FLOP DELLE POLITICHE D'IMMIGRAZIONE. L'immigrazione, lo sostengono anche i sondaggi, sta diventando uno dei temi più importanti per i cittadini svedesi.
I massicci flussi migratori, composti in maggior parte da rifugiati politici dei fronti nordafricani, dalla Somalia, dall'Afghanistan e, di recente, dalla Siria, non sono stati accompagnati da adeguate politiche di integrazione. Sussidi, casa, servizi sanitari e istruzione sono appannaggio di tutti (da luglio anche ai figli di immigrati irregolari). Ma diventare a tutti gli effetti un membro della società resta difficile.

LA PIAGA DELLA DISOCCUPAZIONE. «In Svezia avere un lavoro è tutto», ha detto il ministro dell’Immigrazione Tobias Billström.
Avere un impiego significa infatti contribuire al benessere della società, a quello stato sociale cui, secondo un'opinione sempre più diffusa, gli immigrati attingono senza dare nulla in cambio.
A Rosengård, però, solo il 38% delle persone è occupato. A Husby, il quartiere di Stoccolma dove sono i riot sono cominciati, il 30% dei giovani non lavora e non va nemmeno a scuola. 

L'immigrazione non è però un problema solo della Svezia.
La Norvegia, come la Danimarca ai tempi delle vignette satiriche su Maometto, fatica a integrare quei lavoratori e rifugiati di religione islamica (il 3,2% della popolazione sui poco più di 5 milioni di abitanti) che vivono sul suo territorio.

IL SILENZIO DEI MEDIA. Ole Jorgen Anfindsen, ricercatore universitario e collaboratore del blog della destra antislamica Fjordman, intervistato per il primo anniversario dalla strage di Utoya ha dichiarato: «Non ho risposte facili al tema della difficile integrazione degli islamici nella nostra società. Ma anche se i media non ne parlano volentieri, in Norvegia ci sono problemi reali con l'immigrazione islamica».
Per esempio «molti cittadini non vedono di buon occhio la presenza di religioni diverse da quelle della nostra cultura e, mentre molte delle persone che arrivano qui sono gente per bene che pensa solo a lavorare e a inserirsi nella società, una parte finisce a ingrossare le fila della criminalità».

CONSENSI ALL'ESTREMA DESTRA. Qui, come in Svezia e, da poco, in Finlandia, il partito di estrema destra catalizza un buon numero di consensi (nel 2009 si è aggiudicato 41 seggi su 169 in parlamento), ma la manodopera straniera, qualsiasi sia la sua origine, è fondamentale per mantenere in piedi l'economia.
Le soluzioni proposte dai partiti per non sono univoche.

SOLDI A CHI RIENTRA IN PATRIA. A dicembre del 2012 in Svezia i centristi avevano suggerito di liberalizzare l'immigrazione, sostenendo che il Paese avesse bisogno di persone che occupassero posizioni meno qualificate, ma altrettanto necessarie all'economia. La proposta era stata liquidata in malo modo da stampa e opinioni pubblica.
Oggi la politica migratoria che sembra raccogliere il maggior numero di consensi sembra essere quella del partito di estrema destra, Sverigedemokraterna. Meno immigrazione e più sostegno a chi, non riuscendo a integrarsi in Svezia, preferisce tornare nello Stato di origine, al quale viene pagato il biglietto per rientrare.
Ma per sapere se anche il giro di boa della Svezia possa portare a destra, bisogna aspettare le elezioni del 2014. 

 

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