Ingroia: "Uso politico delle
intercettazioni"
L'ex procuratore
aggiunto di Palermo, negli studi di Omnibus su La7, ammette l'esistenza di
toghe politicizzate. E spiega: "Ogni magistrato ha un suo tasso di
politicità nel modo in cui interpreta il suo ruolo"
Domenico Ferrara - Ven, 01/02/2013 - 10:29 ilgiornale.it
"Sì, è vero. È stato fatto un uso politico delle intercettazioni,
ma questo è stato l’effetto relativo, la causa è che non si è mai fatta pulizia
nel mondo della politica".
Un'ammissione in piena regola fatta negli studi di La7 dall'ex
procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia.
Che sostanzialmente ha confermato l'esistenza (per non dire
l'appartenenza) di toghe politicizzate. Il leader di Rivoluzione
civile ha spiegato meglio il suo pensiero: "Se fosse
stata pulizia, non ci sarebbero state inchieste così clamorose e non ci sarebbe
state intercettazioni utilizzate per uso politico".
L’ex pm ha poi affermato che "ogni magistrato ha un suo tasso di
politicità nel modo in cui interpreta il suo ruolo. Si può
interpretare la legge in modo più o meno estensiva, più o meno garantista
altrimenti non si spiegherebbero tante oscillazione dei giudici nelle
decisioni. Ogni giudice dovrebbe essere imparziale rispetto alle parti il che
non significa essere neutrale rispetto ai valori o agli ideali, c’è e c’è
sempre stata una magistratura conservatrice e una progressista". Guai
a utilizzare il termine toga rossa però, perché"mi
offendo, per il significato deteriore che questo termine ha avuto", ha
aggiunto Ingroia.
Ma il magistrato siciliano è tornato a parlare anche del caso delle intercettazioni sul
Colle e della decisione della Corte Costituzionale sul conflitto di
attribuzione, rivendicando la legittimità del suo operato. "È stata una sconfitta della Costituzione
repubblicana e del rapporto dell’equilibro fra i poteri, perché è stato
incrementato lo statuto delle prerogative del Capo dello Stato a discapito del
potere giudiziario. Non ho avuto torto: la Consulta mi ha dato torto, ma io ho
ragione".
Insomma,
anche quella della Consulta sarebbe stata una decisione
politica. Ma"intendiamoci, non nel modo in cui lo direbbe Berlusconi, però
ogni interpretazione di diritto e Costituzione ha un suo tasso di politicità.
In questo caso, non c’è dubbio che il codice di procedura penale prevedeva la
procedura seguita dalla Procura di Palermo. Per la Consulta bisognava seguirne
un’altra e scegliendo è prevalsa quella politica, detto tra virgolette, di
circondare il Capo dello Stato di maggiori garanzie di quanto fosse previsto
fino a prima di questa sentenza", ha precisato Ingroia.
Che infine ha commentato così le critiche che hanno
accompagnato la sua entrata in politica: "Mi rendo conto che la
mia scelta avrebbe determinato polemiche, anche interne alla magistratura,
ma ho fatto un ragionamento politico che sapevo mi avrebbe esposto anche a
questo tipo di rischi. Nel calcolo
costi-benefici ho ritenuto fossero maggiori i benefici. L’Italia aveva bisogno, e mi scuso se
può sembrare autogratificante, che una parte del Paese venisse rappresentata".
può sembrare autogratificante, che una parte del Paese venisse rappresentata".
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