Il rischio democratico della non rinuncia di Bersani

Il profilo costituzionale di questa ultima gestione della crisi appare discutibile. C’è un leader poltico che ha ricevuto dal presidente della repubblica un pre-incarico con l’obbligo di tornare a riferire al Colle sull’esistenza di una maggioranza certa per avere il via libera per formare il governo e così da sottoporlo al voto delle camere. Dopo una settimana questa maggioranza certa non c’è. Lo ha riscontrato Bersani, lo abbiamo visto tutti noi. La prassi vorrebbe che il presidente incaricato lasci l’incarico e che il tentativo sia affidato ad altri. Invece questo non accade. Bersani non rinuncia. Napolitano, con Bersani ancora al suo posto svolge nuove consultazioni. I “si dice” di questa svolta sono tanti. Il più credibile è che Bersani abbia detto a Napolitano che un governo diretto da altri non avrebbe i voti del Pd quindi tanto vale lasciar andare lui alla Camere. Resta il vulns costituzionale: può un leader che ha un pre-incarico, cioè che non ha maggioranza, rifiutarsi di lasciare il campo agli altri, ritirandosi dignitosamente? L’altra domanda è più inquietante per la gente di sinistra ed è questa: che idea il paese si fa della sinistra se un suo leader, pur non avendo la maggioranza, non accetta di farsi da parte ma conserva un incarico che non alcuna possibilità di esercitare mancandogli i numeri parlamentari? Già me la immagino la polemica sui comunisti attaccati al potere, che non se ne staccano neppure se sono minoranza. Insomma Bersani sta conducendo una partita in cui ha messo in gioco non solo se stesso, sono fatti suoi!, ma l’immagine di un intero campo. Cosa che non è nella sua personale disponibilità nè in quella dei suoi consiglieri che lo stanno spingendo verso una linea avventurosa che nessun altro leader di sinistra aveva mai cercato e che la sinistra avrebbe condannato se questo spettacolo fosse stato inscenato dalla destra.
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