mercredi, mai 18, 2011

Strauss-Kahn e Polanski, giudizi diversi: Ci sono due stupri. E due diverse misure

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Strauss-Kahn e Polanski, giudizi diversi: Ci sono due stupri. E due diverse misure

Dalla Ravera alla Aspesi. Chi difendeva il regista adesso si scaglia contro il direttore dell'Fmi, scaricato dalle colleghe
di Francesco Borgonovo   Libero-news.it     20110518

Speriamo che l’elegante Anne Sinclair - coraggiosa consorte di Dominique Strauss-Kahn, la quale sin dal primo momento lo ha difeso dalle accuse di stupro - stia mettendo a soqquadro le numerose abitazioni sue e del marito. In qualche vecchia libreria, magari in una cassapanca ammuffita in cantina, dovrà pur esserci traccia di una passata attività artistica del direttore del Fondo monetario internazionale. Avrà pur scritto un romanzo, una sceneggiatura, un abbozzo di spettacolo teatrale. Santo Dio, basterebbe un quadro astratto; l’incisione di una canzone strimpellata con la chitarra; vanno bene anche le foto di una natura morta (i ritratti delle modelle poco vestite lasciamoli perdere, per carità).

Se si scoprisse che Strauss-Kahn è almeno un po’ creativo, potrebbe sperare di salvarsi dalla sala di tortura a mezzo stampa dove in questi giorni l’hanno sbattuto. Viene accusato di aver violentato una cameriera ghanese 32enne dell’albergo Sofitel di New York dove alloggiava, di averla costretta a un rapporto orale. E adesso se ne sta chiuso in gattabuia rischiando una condanna a settant’anni, mentre mezzo mondo si gode la rovinosa caduta di un potente, già capo di un’organizzazione economica di rilievo planetario e considerato favorito nella corsa alla presidenza francese.

C’è invece un signore chiamato Roman Polanski, regista di successo, che in una lussuosa villa hollywoodiana, nel 1977, ha drogato, sodomizzato e convinto al sesso orale una ragazzetta di 13 anni. È stato giudicato colpevole, si è fatto novanta giorni di carcere, poi se l’è data a gambe scappando in Europa. Quando nel 2009, di passaggio in Svizzera per un festival, è stato arrestato in virtù di un mandato di cattura internazionale, gli intellettuali di tutto il globo - con rare eccezioni - l’hanno difeso a costo della vita. La stampa di sinistra, anche quella italiana, lo ha tramutato in un martire: un genio del cinema non meritava di essere ingabbiato (agli arresti domiciliari in un lussuoso chalet svizzero, per altro), anche se aveva violentato una bambina. Da Martin Scorsese a Monica Bellucci, un fiume di star firmò un appello in sua difesa. Nel 2010 il suo lungometraggio The Ghost Writer fu premiato a Berlino con un Orso d’argento. Intanto, il volto bovino di Strauss-Kahn, scavato dalle rughe e ulteriormente invecchiato dalla barba malfatta, lo sguardo assente, campeggia sulle prime pagine.

Ha trascorso la notte scorsa in isolamento nel carcere di Rikers Island. Le ministre europee dell’Ecofin, capitanate dalla spagnola Elena Salgado, hanno chiesto all’unisono le sue dimissioni, anche se non c’è condanna e le incertezze abbondano. I due casi, quello di Polanski e quello di Strauss-Kahn, sono incredibilmente simili, eppure la doppiezza con cui vengono trattati è accecante.
Qualche esempio. Per Ilda Dominijanni del manifesto, l’economista è un satiro alla stregua di Silvio Berlusconi: «I re sono nudi, e non solo perché nudi si avventano sulle cameriere». «I tentativi di contenere lo scandalo (...) suonano disperatamente falsi e ipocriti». Lo stesso giornale, tuttavia, per la penna di Mariuccia Ciotta, compativa Polanski, evocava la «caccia alla strega»: «La sua condizione di star non lo protegge affatto», scrisse l’editorialista, «i cacciatori di teste celebri si sono scatenati». Strauss-Kahn, per Michela Marzano su Repubblica, è come un antico signore, di quelli che vivevano «amori ancillari con le schiave e con le serve». Un mostro assetato di gnocca, un Don Rodrigo che vuole possedere le inferiori. Sarà anche vero, ma perché nel 2009 Natalia Aspesi, sempre su Repubblica, descriveva il violentatore di minorenni Polanski come un uomo «dall’aria fragile e bisognosa di protezione»? Secondo lei, la ragazzetta che il regista sodomizzò era «un’adolescente forse non innocente», una «ambiziosa ragazzina». La cameriera che accusa Strauss-Kahn è invece una «povera femme de chambre», dice la Marzano.

Tutto dipende dalla tipologia umana del violentatore (o presunto tale). Il regista è un poeta a cui la pedofilia è concessa. L’economista, seppure socialista, è un ricco suino e i progressisti italiani lo assimilano al Cavaliere che si diverte col bunga bunga. Sull’Unità, nel 2009, Alberto Crespi si stracciava le vesti per l’amico Roman: se è colpevole, diceva, «siamo quindi colpevoli». Invece Lidia Ravera ieri sul Fatto sbavava di rabbia, se avesse potuto Strauss-Kahn l’avrebbe violentato lei. Bellezza delle parole: la vittima di Polanski era una lolita viziosa. La cameriera che accusa il capo del Fmi, sentenzia la Ravera, è una «lavoratrice» trattata «come una schiava», come un «bidet» dal maiale capitalista che «dormiva in una “stanza” da 3000 euro per notte». La scrittrice è così certa delle sue ragioni da insultare la moglie di Strauss-Kahn, priva di «quel minimo di decenza femminista» che la farebbe smettere di «negare l’evidenza». Madame Sinclair dovrebbe comportarsi come Veronica Berlusconi, «che ha scaricato il suo lord-puttaniere».

L’unico coerente è il filosofo Bernard-Henry Lévy: difese il suo amico Polanski, difende il suo amico Strauss-Kahn, ma forse è l’orgoglio di casta. Per il resto dell’intellighenzia, ci sono due stupri e due misure. Forse la cultura non dà il pane, ma talvolta aiuta a evitare la galera.




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