mercredi, novembre 14, 2012

L'unica rivoluzione possibile è quella dei ricchi, ma non la vogliono fare

14 novembre 2012

L'unica rivoluzione possibile è quella dei ricchi, ma non la vogliono fare

 

di   ilsole24ore.com  20121114


L'economia, come l'abbiamo conosciuta fin qui, ha fallito. Secoli di studi e applicazioni si sono sciolti come neve al sole di fronte ai problemi che stiamo vivendo da qualche anno; non sono stati capaci di fornire risposte, né tanto meno in questo periodo hanno saputo creare ricette per tirarci fuori dalla crisi. A pensarla così non sono solo i grillini e i giovani di Occupy, che partendo da Wall Street hanno contagiato tutto il mondo, ma anche numerosi economisti e pensatori con un largo seguito nei diversi Paesi.

Solo chi ha creato la crisi può risolverla 
Un esempio per tutti arriva dalla Spagna, uno dei Paesi dell'eurozona più colpiti dall'attuale crisi, dove in questi giorni si fa un gran parlare di "Posteconomia" e del suo autore, Antonio Baños. Il 45enne scrittore e giornalista di Barcellona non usa mezzi termine nell'esprimere le sue teorie (e questa probabilmente è una delle chiavi principali del successo del suo volume), a cominciare dal sottotitolo "Verso un capitalismo feudale". Un saggio che passa in rassegna i disastri provocati dal modello economico bancocentrico, che in Spagna hanno prodotto il record di disoccupati (uno su quattro) e la necessità di rivolgersi all'Europa per evitare il crack.

«L'economia è esplosa, ha esaurito la sua forza e non sa spiegarsi come tutto ciò sia potuto accadere», spiega Baños in uno dei passaggi più noti del volume, secondo il quale stiamo vivendo un'involuzione che rischia di portarci indietro nei secoli, ai tempi dei vassalli. Con la necessità di elemosinare i beni necessari per la sopravvivenza presso i ricchi, coloro cioè che hanno accumulato fortune tramite le rendite e la speculazione finanziaria. 

Come uscirne? In un mondo in cui sono gli stessi ricchi a fare le leggi, grazie alla forza delle lobby che li rappresentano nei luoghi decisionali, solo loro hanno il potere di cambiare le cose, sottolinea tra il serio e l'ironico l'autore. Resta da capire se ne hanno la voglia, e il pessimismo di Baños non lascia grandi speranze in merito, anche se vengono citati esempi virtuosi di super-ricchi, come il finanziere americano Warren Buffett, che ha chiesto una revisione della fiscalità generale ricordando che è ingiusto un sistema in cui la sua segretaria paga proporzionalmente più di lui secondo un modello basato sul premio al rischio di chi fa impresa (anche se solo finanziaria, come in questo caso). 

Gli altri guru dei movimenti contro le sperequazioni 
Baños non è l'unico a conquistare grandi fan con le sue teorie che predicano la rivoluzione del modello economico dominante. "Il prezzo della civiltà" è il titolo del best-seller lanciato in estate da Jeffrey Sachs, direttore dell'Istituto della Terra a Harvard, stabilmente collocato da Time nelle classifiche sui 100 uomini più influenti del pianeta. Senza cedere alle tentazioni massimaliste, Sachs lamenta che, ancor più della congiuntura economica negativa, a pesare in questa fase sono la «mancanza di rispetto, onestà e compassione nei confronti degli altri». Un volume che richiama il pensiero (tra gli altri) di Buddha e Aristotele per richiamare le élite politiche ed economiche affinché ritrovano il senso morale nel loro agire.

Tornano in auge i profeti no global 
Negli Stati Uniti è tornato di gran moda Noam Chomsky, già riferimento ideologico dei no global e autore del recente volume «Siamo il 99%» a indicare la sperequazione tra il ristretto numero di decisori dei destini altrui. Il professore universitario fa un parallelismo con l'altra grande crisi moderna, quella degli anni Trenta, ricordando che allora i disoccupati potevano aspettarsi di trovare un'altra occupazione in tempi ragionevoli, mentre oggi la prospettiva si fa sempre più difficile.

Per Chomsky le cause partono da lontano, dalla caduta del saggio di profitto nel settore manifatturiero durante gli anni Settanta, con un rafforzamento del trend nei decenni successivi, che non è stato contrastato in alcun modo dai politici. Anche in questo caso l'indice è puntato in primo luogo verso le banche, che hanno smesso di fare da intermediare sul credito con imprese e famiglie, per concentrarsi sul veloce accumulo della ricchezza tramite l'ingegneria finanziaria, che poi ha mostrato tutti i suoi limiti impoverendo centinaia di milioni di persone.

Molto ascoltata è anche Naomi Klein, 42enne giornalista e scrittrice canadese, che di recente ha aggiornato il suo famoso saggio "No Logo", che viene considerato il manifesto del movimento no-global ed è stato tradotto in 28 lingue, divenendo rapidamente un best-seller internazionale. Un volume che parte dall'analisi delle strategie costruite per creare i brand per poi approfondire l'evoluzione dell'economia verso sistemi di de-territorializzazione e fine della fisicità per i beni e le ricchezze. 

Preoccupazioni crescenti in Germania 
Il dibattito non risparmia nemmeno la Germania, il Paese europeo che più ha resistito finora ai venti della recessione. Tanto che un convegno a porte chiuse organizzato nei giorni scorsi dalla fondazione Hans-Böckler si è sviluppato intorno al quesito se a generare la crisi di oggi siano stata in primo luogo le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza.

Gli analisti presenti hanno concordato in prevalenza con questa tesi, di fatto rimettendo nel cassetto il credo del premio Nobel Robert Lukas, molto in voga fino a qualche anno fa, secondo il quale l'aumento dell'occupazione e l'aumento della produttività avrebbero portato a un aumento dei salari e a una distribuzione più equa dei redditi. Un automatismo del mercato che evidentemente non ha funzionato.


14 novembre 2012

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