mardi, avril 02, 2013

Se Cipro dà una lezione agli Stati Uniti

Nicosia ha tutelato, nei limiti del possibile, la gente comune dalla crisi. I cittadini d'Oltreoceano, invece, continuano a pagare un prezzo troppo alto per il salvataggio del 2008. Reso ancora più amaro dalle bugie di Obama e Geithner.

di Mario Margiocco

editoriale

Pochi sono disposti a prendere lezioni di crisis management dal Mediterraneo, dove non mancano le crisi ma dove scarseggia anche, si dice, il management. E neppure la Bruxelles comunitaria, a sentire molti, fa scuola. Merita una menzione quindi quanto scritto a caldo sul sito di New Republic, il decano dei periodici progressisti americani, dal corrispondente dalla Casa Bianca Noam Scheiber, autore poco più di un anno fa di una delle migliori ricostruzioni sui primi tre anni della presidenza Obama, (il libro è The Escape Artists)
GEITHNER NEL MIRINO. Certo, Scheiber è un semplice giornalista, non un guru dell’economia. Si esprime in lingua e non con formule matematiche. Si chiede, però, «che cosa Geithner avrebbe potuto imparare da Cipro», ripercorrendo alcuni passaggi cruciali della politica di salvataggio seguita dall’ex ministro del Tesoro di Obama, in carica dal 2009 al gennaio scorso dopo essere stato anche presidente della Federal Reserve di New York, supremo regolatore delle maggiori banche di Wall Street e del Paese.
CHI SBAGLIA PAGA. Scheiber osserva che, dopo varie, tormentate ipotesi, Uem, Bce e Fondo Monetario da un lato, governo cipriota dall’altro, hanno deciso di non scaricare i costi del grande salvataggio bancario di Nicosia sul cittadino comune, come si pensava all'inizio con le ipotesi di confisca di quote non piccole di tutti i conti correnti. La scrematura sarà pesante ma per due banche, le maggiori, una destinata a chiudere e un'altra a essere ricapitalizzata. Salvi i conti fino a 100 mila euro. Gli obbligazionisti pagheranno invece il peso dei loro investimenti sbagliati e la fiducia in una banca che non la meritava
UN'OCCASIONE PERSA. È più o meno il contrario di quanto fatto negli Stati Uniti, spiega Scheiber. E non nel vortice della tempesta (settembre-dicembre 2008), quando alla fine ogni errore va condonato, visto che bene o male il sistema è stato salvato. Ma nei tre o quattro mesi successivi, quando i vertici bancari erano estremamente deboli e sarebbe stato opportuno gettare le basi per una riforma che potesse impedire per i prossimi 20 anni un ritorno alle follie che avevano determinato la crisi. A partire da un richiamo alle responsabilità, anche in solido. Non è successo nulla di tutto questo. 

Le bugie di Obama e Geithner

Certo, ammette Scheiber, un conto è operare con le banche di Cipro, un altro è farlo con i giganti di Wall Street, molto più interconnessi con il sistema mondiale. Ma sia Tim Geithner sia Barack Obama hanno mentito sull'entità del salvataggio avvenuto tra il 2008 e il 2009.
Hanno detto che non è stato dispendioso. Invece, i costi per il solo bilancio federale, senza coinvolgere famiglie e mancata crescita, si aggirano intorno ai 2 mila miliardi, a fondo perduto o dal molto difficile rientro. In più c’è la Fed, che ha messo a disposizione e continua a sborsare somme enormi, anche queste “pubbliche”, destinate in qualche modo a pesare sui conti della crisi.
I PRIVILEGI DELLE BANCHE. Le maggiori banche americane, tutte coinvolte in maniera e misura diverse nel salvataggio, stanno ricevendo direttamente dalla Fed a vario titolo (in gran parte interesse sui depositi) circa 50 miliardi di dollari l’anno.
E questo, ricordava a febbraio James Bullard presidente della Fed di St.Louis, «è più del totale dei profitti delle maggiori banche». In più, vanno considerati i vantaggi nei costi del denaro derivanti dalla dichiarata protezione pubblica (too big to fail) che gli editors dell’agenzia Bloomberg stimano in circa 83 miliardi di dollari l’anno.
PERSEVERARE È DIABOLICO. Ma non è tutto. Qualcosa lascia pensare che nelle stanze che contano troppa gente ancora non abbia imparato la lezione. La settimana scorsa la commissione Agricoltura della Camera americana, che per tradizione sovraintende ai derivati (nati in origine proprio per supportare con i futures i mercati agricoli), ha approvato in via preliminare una serie di provvedimenti volti ad aggirare per i derivati le (modeste) regole della riforma finanziaria Dodd-Frank. Una in particolare mira a rendere di nuovo possibile il parcheggio dei derivati, spesso potenzialmente pericolosi, nelle unità operative che, raccogliendo il risparmio, godono della protezione pubblica. L’obiettivo primo e conclamato della Dodd-Frank, impedire di imporre in futuro al contribuente un nuovo salvataggio, verrebbe così messo in pericolo.
UN VOTO PERICOLOSO. Il presidente della commissione Agricoltura, Collin Peterson, ha invitato prima del voto a riflettere: «Fate attenzione, potete esprimervi come volete. Ma il voto potrebbe anche rivoltarvisi contro e non dare tregua alla vostra memoria». Peterson non è l'unico ad avere più dubbi che certezze sulla crisi finanziaria statunitense e su come è stata affrontata. Lui, come gli altri che criticano le scelte di Washington, però, difficilmente cercherebbe un modello di crisis management tra i Paesi del Meditrraneo. E in quel di Cipro in particolare.
A sentire Scheiber, tuttavia, sarebbe ora che a Washington la classe dirigente iniziasse a farci un pensierino.

Martedì, 26 Marzo 2013

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